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Roma. Come (non) vendere una caserma dello Stato
Daniele Martini
Il Fatto Quotidiano 17/10/2013

"Il Fatto Quotidiano", 17 ott. 2013

LO STABILE DI VIA GUIDO RENI A ROMA RESTA IN BILICO. L’ESECUTIVO PREPARA DUE LISTE PER CEDERE IMMOBILI: UNA PRONTA CASSA E L’ALTRA PER GLI AMICI


La caserma Guido Reni del Flaminio a Roma è come la ragazza dalle belle ciglia, tutti la vogliono e nessuno la piglia. Ed è uno dei tanti esempi di immobili pubblici che lo Stato periodicamente inserisce in quelle liste di beni che dice di voler vendere per fare quattrini in fretta in momenti come questo, quando l’acqua è alla gola e le casse vuote. Ma che poi per un motivo o per l'altro restano lì come sono.
La caserma Reni è un complesso grande e centrale ed è stata richiesta dal Comune di Roma per farci un museo, ma senza sborsare un euro ritenendola uno di quegli 8 mila beni che lo Stato (il Demanio) dovrebbe passare gratis agli enti locali in base al cosiddetto Federalismo demaniale. Lo Stato però si oppone perché dal suo punto di vista quell'immobile sta in un’altra lista, quella del Piano di valorizzazione, cedibile quindi, ma non a titolo gratuito. Mentre la querelle procede stancamente i costruttori romani assistono appollaiati come falchi, convinti che prima o poi quel ben di dio indicato dal Piano regolatore come residenziale, cadrà nel loro paniere per pochi soldi.
Da almeno un quarto di secolo a ogni curva di legge finanziaria (ora legge di Stabilità) i governi rimettono in ballo una giostra di liste e ambiziosissimi programmi di vendita del patrimonio immobiliare. Con risultati finora modesti. L’obiettivo di questo giro è vendere in un anno 350 immobili inseriti in due diversi elenchi per un valore di 1 miliardo e mezzo di euro. Così distribuiti: 525 milioni da incassare subito prima di Natale con uno stock di 50 pezzi superpregiati, il miliardo restante l’anno prossimo con gli altri 300. La prima lista è quella detta della Cassa depositi e prestiti (Cdp) e comprende molti immobili già ceduti a fine 2005 a Fintecna per 350 milioni di euro e che Fintecna non è riuscita a piazzare. La lista ufficialmente è segreta, ma al Fatto risulta che in essa ci sono pezzi come il Castello Orsini di Soriano del Cimino, un ex carcere che ha ospitato anche brigatisti, destinato probabilmente a diventare un albergo. L’isolotto di San Giorgio in Paludo a Venezia, le caserme Piave di Albenga e Masini di Bologna, l’ex villaggio minerario di Rio Marina all’Elba, l’ex forte Pezzino a La Spezia, le caserme di Gaeta in prossimità del Castello. La lista è al vaglio degli acquirenti, Franco Bassanini e Giovanni Gorno Tempini, rispettivamente presidente e amministratore della Cdp.
Fatte le valutazioni del caso, entro la fine dell'anno la Cassa staccherà un assegno a favore dello Stato diventando proprietaria di quelle perle immobiliari. In pratica è una partita di giro e i soldi pubblici transitano da un forziere stracolmo (la Cdp) a una cassa vuota (lo Stato italiano). A quel punto Cdp venderà i beni a trattativa privata, ovviamente con un guadagno, con i suoi insondabili criteri e a chi vuole.
La seconda di 300 immobili è chiamata Invimit, dal nome della società immobiliare di cui è prevista l’entrata a pieno regime a gennaio. Invimit è presieduta da Vincenzo Fortunato, ex potente capo di gabinetto al ministero dell’Economia con Giulio Tremonti, ora messo però in ombra da Elisabetta Spitz, ex moglie di Marco Follini ed ex responsabile del Demanio, che è riuscita a farsi dare tutte le deleghe operative. In tre anni questa nuova società dovrebbe vendere immobili per un valore di 2 miliardi e mezzo: il primo miliardo nel 2014 con i 300 immobili, mezzo miliardo con l’invenduto delle case Inps e Inail (i cascami delle famose Scip 1 e 2 di Tremonti) e un altro miliardo con uno stock di 22 caserme. Finora con la vendita del patrimonio immobiliare pubblico si sono leccati i baffi soprattutto gli amici degli amici. Per esempio nel 2005 con l’operazione Fip (Fondo immobili pubblici), con 2 miliardi di euro cash e 1,5 inserito in fondi immobiliari, la crema degli immobiliaristi italiani ha comprato circa 400 palazzi che poi ha riaffittato allo stesso Stato a canone fisso per 18 anni di fila. In quei frangenti, chi è svelto e ben informato riesce spesso a mettere le mani sull'affarone. Come è successo, per esempio, all’editore Pippo Marra con il bellissimo palazzo di piazza Mastai a Roma, diventato la sede dell’AdnKronos. O a molti inquilini del palazzone liberty ex Ina-Assitalia al Testaccio, reso famoso dalla “cena del risotto” di Massimo D'Alema nell’appartamento dell’allora sottosegretario Antonio Bargone e dove abitano, tra gli altri, l’attuale premier Enrico Letta e l’ex sottosegretario di Berlusconi e giornalista Giuliano Ferrara.



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