MIBAC, L'ALLEGRO CAOS DI UNA RIFORMA INFINITA FRANCESCO ERBANI La Repubblica 31/10/2013, pagina 44 sezione Cultura
Per carità, non chiamatela riforma. Su questo sono d'accordo in molti al ministero per i Beni culturali e il turismo. Ma solo su questo. Per il resto regna un allegro caos intorno alle proposte elaborate da una commissione incaricata dal ministro Massimo Bray di formulare un diverso assetto del ministero. La commissione, formata in buona parte da consulenti esterni e presieduta da un professore di diritto amministrativo, Marco D'Alberti, chiude i battenti oggi con una riunione plenaria. I paletti entro cui si è mossa sono le prescrizioni fissate dalla spending review che impone un taglio dei posti dirigenziali e che addirittura fissa le quote: 6 fra direttori generali e regionali, 32 fra soprintendenti, direttori di musei o di archivi o di biblioteche....
Il ministro Bray vorrebbe alleggerire il corpo centrale del ministero e rafforzare le strutture periferiche, quelle che svolgono la tutela sul territorio e che negli anni sono state immiserite (e dello stesso parere è il presidente della commissione): personale carente, d'età avanzatissima (in media 55 anni), costretto a carichi burocratici che rendono quasi impraticabile la sorveglianza del patrimonio o la pianificazione paesaggistica. La sperequazione economica è paradossale: un direttore generale o regionale guadagna 170mila euro l'anno, un soprintendente la metà, un funzionario di zona o un direttore di museo (dagli Uffizi alla Galleria Borghese, al Museo Archeologico Nazionale di Napoli), 35mila. Bray attende i risultati della commissione e poi deciderà. Intorno a lui cresce però il nervosismo. Sono pessimi i suoi rapporti con il segretario generale, Antonia Pasqua Recchia.
Ma neanche con i direttori generali corre buon sangue. A fine settembre, per citare un episodio significativo, su impulso del capo di gabinetto del ministro, Marco Lipari, il segretariato generale emette una circolare (la numero 39) che impone ai dirigenti del ministero di farsi autorizzare i convegni che hanno qualche attinenza con questioni normative.
La circolare genera un maremoto. Molti parlano di censura preventiva in un ministero dove nessuno può esporsi pubblicamente e chi esprime malumori lo fa solo con la garanzia dell'anonimato. Intervengono i sindacati.
Bray è bersagliato da roventi tweet. Torna alla memoria un'altra circolare, firmata sempre dal segretario generale, che disponeva una rotazione ogni tre anni per tutti i direttori di museo e per i funzionari delle soprintendenze.
Quella circolare fu poi ritirata, si disse, per iniziativa del ministro. Che, secondo alcuni, non ne sapeva nulla e che smentì Antonia Pasqua Recchia. Secondo altri, Bray era invece consapevole, ma vista la bufera, impose di tornare indietro. Passano quattro giorni dalla circolare numero 39 e, con la circolare numero 40, anche stavolta si fa parziale retromarcia.
La commissione, intanto, definisce gli ultimi dettagli. Alcuni chiedono di abolire il segretario generale, altri ne difendono il ruolo.
Verranno ridotte le direzioni generali da nove a cinque. Una di queste direzioni generali, però, si trasformerebbe in una specie di monstre: comprenderebbe tutto il patrimonio, dall'archeologia all'arte e all'architettura contemporanee, e anche il paesaggio. Viene eliminata la direzione per la valorizzazione, inventata dall'allora ministro Sandro Bondi per Mario Resca, amico personale di Silvio Berlusconi, che ha poi lasciato l'incarico ad Anna Maria Buzzi, senza che questa struttura abbia prodotto granché. Potrebbe essere istituita una direzione per i musei e gli istituti culturali. Per le direzioni regionali si è ipotizzata la soppressione, ma forse si andrà ad alcuni accorpamenti e a tutte si attribuiranno compiti di coordinamento e non più la ridda di funzioni - ne hanno calcolate 33 - che ora ingolfano autorizzazioni e vincoli. Tornano a funzionare i comitati tecnico-scientifici, mentre si è ventilata l'eliminazione dei Poli museali (Firenze, Venezia, Roma, Napoli).
Il fermento è altissimo. Si propone di tagliare i direttori generali, ma nel frattempo nella legge "Valore cultura" se ne immagina uno tutto nuovo per Pompei, dotato di poteri simili a quelli di un commissario (lo ha definito così il presidente del Consiglio Enrico Letta a Che tempo che fa ), una funzione che a Pompei ha lasciato scie di inchieste giudiziarie. Accanto al direttore-commissario e a un suo vice, si delinea un comitato di gestione al quale partecipano soggetti pubblici e privati, le cui decisioni, «sostituiscono ogni altro adempimento, nulla osta, autorizzazione o atto di assenso». Il che vuol dire che si può procedere in deroga alle norme vigenti soprattutto per le aree esterne al sito: mano libera, insomma, per iniziative su infrastrutture e interventi turistici. Circolano alcuni nomi per questa direzione generale. E fra questi, oltre a due attuali direttori regionali, anche quello di Antonia Pasqua Recchia se dovesse saltare la poltrona di segretario generale. |