TORINO - Dall'auto alla cultura quella metamorfosi che ha fatto di Torino una perla da scoprire STEFANO PAROLA 13 gennaio 2016 LA REPUBBLICA
«TORINO, schiacciata ingiustamente da una reputazione che la lega all'industria, a una squadra di calcio, a un sudario e a poco altro, è uscita dal suo bozzolo e ha preso il volo come la farfalla d'Italia», scriveva nel 2005 l'australiana Sally O'Brien nella prima guida che Lonely Planet ha dedicato alla città, in vista delle Olimpiadi. Sono passati dieci anni dai Giochi eppure Torino sta ancora sbattendo le ali. E si è appena posata pure sull'elenco dei "52 posti in cui andare nel 2016" stilato dal New York Times. Per una volta il merito non è solo del centro cittadino, ma pure delle periferie: «È un segnale importante, che ci racconta di come la città stia cambiando e che ci invita a non mollare», dice Maurizio Montagnese, presidente di Turismo Torino.
La lista del quotidiano americano è un collage di mete note e luoghi da scoprire e il capoluogo piemontese è l'unica città italiana presente. L'autrice Robyn Eckhardt (blogger di cibo e viaggi che ha scelto l'Asia come base) parte da un'istituzione come il rinnovato Museo Egizio, ma si concentra subito su alcuni aspetti meno noti della città sabauda: gli atelier e le gallerie nei Docks Dora, i graffiti di periferia del progetto "Arte in Barriera", la nascente sede della Lavazza vicina al mercato di Porta Palazzo. Poi segnala le nascite del Centro italiano per la fotografia "Camera" e del Museo Ettore Fico, oltre ad Artissima, Paratissima, le Luci d'Artista. E ancora, cita i festival musicali, da Club to Club al Torino Jazz, passando per Kappa Futur, Todays e Movement, loda il Salone del Gusto e fa notare che l'area può essere «il trampolino per immergersi nelle Langhe, nel Roero e nel Monferrato, dichiarati patrimonio dell'umanità dall'Unesco ».
Quattordici righe in tutto, che però aprono una sorta di "fase 2" per la Torino turistica. A colpire il quotidiano Usa non sono infatti i "totem", come il Museo del Cinema o la Reggia di Venaria, bensì i luoghi di nicchia, gli eventi culturali, la periferia. Tutto questo, spiega il responsabile dell'Atl provinciale Montagnese, suona come «un invito a tenere alta la qualità della nostra offerta culturale».
Il presidente di Turismo Torino ha tra le mani il sondaggio svolto tra i visitatori di Capodanno: erano per l'80% italiani e per il 20% stranieri, soprattutto francesi, spagnoli e svizzeri. Si può fare di più, soprattutto ora che il "fai da te" spopola e che il mercato non è più un'esclusiva di tour operator e agenzie: «Oggi il turista è molto più evoluto ed è per questo che abbiamo investito molto sul web», dice Montagnese.
Dunque Torino «ha saputo rinnovare il suo profilo industriale, allargando la sua identità a nuove vocazioni, tra cui quella turistica », come ama dire il sindaco Piero Fassino. Ma non solo: «Anche dopo la trasformazione, la città non si è fermata», evidenzia Fiorenzo Alfieri, che nel 1980 divenne il primo assessore al Turismo di Torino. E che spiega: «È bastato valorizzare il patrimonio che già c'era per renderla una meta ambita, ma poi si è andati oltre: ora chi arriva sa che qui trova eventi di qualità».
È il caso dei festival, che attraggono appassionati da ovunque: «Il New York Times cita quelli che hanno maggior feedback internazionale grazie a una proposta artistica che esce dai confini cittadini e italiani», riflette Gianluca Gozzi, organizzatore del Todays Festival. Oggi anche ospitare band indipendenti, ma sempre di fama mondiale, significa «veicolare una certa immagine della città e ottenere un buon impatto su media e social network. È più facile che un ventenne berlinese scopra Torino grazie al Club to Club che ai musei più noti».
Così accade che gli occhi stranieri si posino anche lontani dal centro, per esempio sul Museo Ettore Fico: «Ormai Torino riesce a garantire un'offerta culturale a 360 gradi e di qualità elevata: tutti aspetti che ci hanno sempre differenziato da altre mete », dice il direttore Andrea Busto. Secondo lui «i musei hanno anche il dovere di far scoprire nuove aree della città». È successo al suo "Mef", ma pure ai vicini Docks Dora, risorti da qualche anno: «I locali notturni non ci sono più, ma siamo almeno in un centinaio tra artisti, architetti, stilisti, artigiani», racconta il fotografo Max Tommasinelli, che ha il suo studio nei vecchi magazzini di via Valprato. Il fatto che anche quegli spazi siano finiti sul Times non lo sorprende: «In fondo questo è un posto molto newyorkese e forse in questo momento a Torino non esistono luoghi simili».
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