MUSEI CAPITOLINI - Un velo sui miliardi e sui diritti 11 febbraio 2016 LA REPUBBLICA
CARO Dottor Augias, ho letto l'intervento di Mario Vargas Llosa ( Repubblica, 8 febbraio) sulla storia delle Veneri in scatola. Vi si parla di «atteggiamento vergognoso» e di «tradimento nei confronti della cultura» — forse è un po' troppo. Un grande intellettuale come Llosa sa qual è la situazione che nel nostro paese si protrae da un decennio, perché poi ne parla; dovrebbe capire quale boccata di ossigeno possano essere 17 miliardi di commesse. Sono un vecchio comunista, i miei vecchi amici dicono che mi sono imborghesito, molto probabilmente è vero. Anch'io da giovane sono stato disoccupato, fu il periodo più duro della mia vita, per guadagnare qualche soldo facevo la comparsa a Cinecittà. Non mi piace tutto questo chiasso sulle statue, il problema della disoccupazione è molto più importante dei patemi di alcuni intellettuali che hanno la "pagnotta sicura" e in nome di questa sicurezza si permettono un'ironia che a me pare francamente facile.
Alfredo Ascani — jeffgoodwin2013@btinternet.com
LA RECENTE gaffe in Campidoglio è uno di quegli episodi che sembrano fatti apposta per alimentare giustificate, divertite, umilianti, polemiche di costume. Che nessuno (presidenza del Consiglio? ministero? Semplice funzionaria?) si sia chiesto quali conseguenze la ridicola trovata dei paraventi di legno avrebbe potuto avere è sintomo di una preoccupante miopia gestionale. Dettata chissà da che: inesperienza, provincialismo, incapacità d'immaginare le conseguenze del gesto. Dire che non era difficile prevederle: in un'epoca che consuma ogni giorno immagini simboliche, la Venere capitolina in scatola sarebbe finita, tra gli sghignazzi, sulle prime pagine di tutto il mondo. La sala dei musei che ospita l'autentica statua equestre di Marc'Aurelio (quella sul piazzale è solo una copia mediocre) è spettacolare, giusta quindi la scelta di farne la sede per colloqui e dichiarazioni. Il disastroso eccesso di zelo di qualcuno ha voluto però che si disponessero le sedie in modo che lo sguardo dell'illustre ospite non intercettasse i testicoli dell'antico destriero. Come se in Iran i cavalli andassero in giro privi di quei preziosi attributi. Tutto questo però, mi permetto di dire, è solo effimero folclore; una gaffe ridicola ma non molto diversa da quelle in cui qualunque diplomazia può incorrere. Del resto Vargas Llosa si dimostra egli stesso non del tutto informato quando descrive la crisi economica italiana come indotta «dal populismo, cioè dalla sua stessa irresponsabilità demagogica». Lo sanno anche i muri che le cause sono diverse, più grandi, più gravi. La sostanza vera è che davanti a 17 miliardi di possibili commesse chiunque al mondo firmerebbe qualunque cosa, anche col diavolo. Infatti il vero aspetto drammatico dell'intera faccenda, a mio parere, non è l'aver nascosto la marmorea bellezza d'una statua che è solo un penoso incidente. La reale "sottomissione" è aver dovuto firmare, con molti sorrisi e cordiali strette di mano, trattati e contratti con un paese nel quale le adultere vengono lapidate e gli omosessuali sono appesi per il collo a una gru sulle pubbliche piazze.
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