Ma Predappio non può essere una Chernobyl della storia MICHELE SMARGIASSI 09 aprile 2016 LA REPUBBLICA
NULLA ci garantisce che il futuro Museo del Fascismo di Predappio sia quel che dovrebbe essere, cioè uno spazio dove il visitatore trovi una riflessione storica seria sul Ventennio nella Betlemme del Duce troppo frequentata da un acefalo turismo nostalgico.
Quindi ben vengano le cautele e la sorveglianza critica da parte della comunità degli studiosi e della coscienza civile di tutti. Ma molte polemiche in corso sembrano rivolte, più che al museo, alla sede: Predappio sarebbe il posto sbagliato per il museo giusto. Lì, il museo sarebbe «prigioniero del luogo, che resta inevitabilmente evocativo, simbolico e celebrativo», tesi purtroppo sostenuta da grandi storici (le virgolette sono di Enzo Collotti, dal Manifesto). A me pare una pregiudiziale scaramantica. Se il genius loci è contagioso, non dovrebbero esistere musei sulla Shoah a Berlino, sul nazismo a Monaco (dove nacque), sulla deportazione a Fossoli, sulla pace a Hiroshima (ci sono tutti). Le contrarietà danno per scontato che il borgo romagnolo sia macchiato da una colpa storica irredimibile, un sito contaminato, una Chernobyl ideologica, un luogo maledetto da cui tenere lontano il sapere storico, attorno ai cui pellegrinaggi in orbace stendere casomai un cordone di sorveglianza antifascista. Lasciate Predappio ai suoi spettri, sembrano suggerire queste polemiche vagamente spiritiste. Eppure, quando il corpo del Duce vi fu riportato, il sindaco comunista Egidio Proli risolse il problema in modo laico e razionale: «A me Mussolini non ha fatto paura da vivo, figuriamoci da morto».
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