Concorsone, che caos al via la prima prova tra ricorsi e polemiche VALERIA STRAMBI 03 maggio 2016 LA REPUBBLICA
«DOMANDE troppo vaste», «tempo insufficiente» e poi «il ministero non si è neanche scomodato a farci sapere i criteri con cui verremo valutati». Tra mal di pancia e accuse più o meno gridate, il concorsone della scuola è iniziato ufficialmente anche in Toscana. Dopo la partenza in sordina di giovedì, ieri era il giorno della prova di italiano. Circa 590 professori (644 i posti disponibili) sono stati sparpagliati tra una decina di sedi diverse in base al cognome.
Al Russell-Newton di Scandicci c'era chi veniva da Prato, da Pistoia, da Massa Carrara, da Cortona. L'appello delle 8 fila liscio, finché non arriva Ottavia Guglielmo, una 31enne con laurea in Lettere classiche e specializzazione in Archeologia. Lei non è come gli altri: fa parte di coloro che si sono laureati ma non hanno l'abilitazione. L'ordinanza di venerdì scorso del Consiglio di Stato che ha ammesso alle prove tre laureati senza abilitazione, ha riacceso le speranze anche per lei. Un'e-mail dell'avvocato ricevuta nella notte l'ha convinta a tentare. Documento d'identità, bollettino pagato e l'istanza cautelare non sono bastati: il presidente del comitato di vigilanza ha consultato l'Ufficio scolastico regionale e il verdetto è un "no". Per partecipare serve il provvedimento vero e proprio, che dovrebbe uscire nei prossimi giorni. Ottavia torna a casa, ma non si arrende: spera che il Miur individui al più presto una data extra per far ripetere la prova a lei e ad altre due colleghe respinte.
Ma gli abilitati, con anni di insegnamento alle spalle, non ci stanno: «Ci hanno massacrato fisicamente e psicologicamente con il Tfa, abbiamo pagato 2.500 euro e sostenuto tre prove, una preselettiva nazionale, uno scritto e un orale – si sfoga Gabriele Biagianti – non dovremmo neppure dover fare un nuovo concorso per esami e oggi ci dicono che potremmo contenderci i posti con i non abilitati?». Sulla stessa linea Jacopo Fabbri, 5 anni di precariato e un dottorato. Lui era al Peano a fare lo scritto: «Il Miur ci aveva detto che avremmo corso in 160mila, ora rischiamo di essere 190mila. Le nostre chance si riducono drasticamente e per di più chi farà la prova in un secondo momento sarà avvantaggiato perché conosce già l'impostazione. Oltre ad avere più tempo per studiare».
Il professor Fabbri, come molti, è convinto che gli abilitati non dovrebbero proprio fare il concorso perché già pluriesaminati: «Quando ho letto la prima domanda non volevo crederci. Mi chiedevano di contestualizzare un sonetto del Petrarca, stesso quesito presentato durante l'abilitazione. Su cos'altro ancora vogliono metterci alla prova?» In due al Peano hanno incrociato le braccia e si sono rifiutati di fare l'esame perché mancavano le griglie di valutazione. Al Rusell-Newton tre volenterosi accompagnatori aspettano mogli e fidanzate: «Questo concorso è un calvario – spiega Luigi – mia moglie viene da dieci anni di insegnamento e se va male non sappiamo che cosa accadrà ». Alle 11.40 i candidati cominciano a uscire alla spicciolata: se Piero Buscioni definisce le domande «intelligenti e meno peggio del previsto», c'è anche chi trova i tempi impossibili: «In molti non hanno neppure finito, poi se premevi un tasto le risposte si cancellavano – racconta Costanza Brezzi di Arezzo – non si valutano le competenze di un insegnante con una prova al cronometro. Per fortuna non prepariamo le lezioni così frettolosamente. Il nostro quotidiano è il contrario di quello che ci hanno chiesto». Francesca Brunello, al nono mese di gravidanze, commenta: «E' un terno al lotto, ma da bilingue ho recuperato un po' di tempo con i due quesiti d'inglese ».
Al termine della prova due candidati, Giusi Caminiti e Giovanni Canzani, raccolgono le firme e si preparano ad andare in questura: «A scopo cautelativo porteremo l'atto di verbalizzazione sottoscritto da noi e dai rappresentanti del comitato di vigilanza in cui si dice che mancano le griglie di valutazione. Ci coordineremo tramite un gruppo watsapp e decideremo se trasformare tutto in una denuncia delle irregolarità».
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