Firenze, McDonald's. La multinazionale americana ha due appigli M.F. Corriere fiorentino 6/7/2016
In viale Jenner, a Milano, sede di McDonald’s Italia, il responsabile dell’«affaire» McDuomo è rimasto di fronte al computer fino a tarda sera, per controllare che arrivasse la «Pec», la mail certificata con la risposta della Commissione del Comune di Firenze alla loro richiesta di deroga per l’apertura del ristorante. E fino alla chiusura dell’ufficio, ieri, non era arrivato niente. Dopo le parole del sindaco Dario Nardella, che ha affermato il suo no allo sbarco della m gialla al Duomo, i vertici del colosso Usa però sanno che è molto probabile che la commissione incaricata di concedere una deroga ai «paletti» del regolamento Unesco dia risposta negativa. E si preparano al duello legale. Quello che è certo è però il disappunto, espresso platealmente dall’Ad Roberto Masi con una battuta: «Si è passato il limite del razionale» per il no, tutto «politico», alla loro apertura al Duomo. Si erano presentati a Palazzo Vecchio, hanno incontrato per mesi gli assessore Giovanni Bettarini, Federico Gianassi e pure il sindaco Dario Nardella. Avevano cambiato il progetto in base ai desiderata dello stesso Nardella (a partire dai servizi igienici aperti sempre a tutto il pubblico, non solo la clientela) e alle integrazioni chieste in prima battuta dalla Commissione tecnica: una specifica sul «concept culturale» dell’arredamento interno (con grandi foto di Firenze, frasi di fiorentini celebri tra cui Tiziano Terzani, tavolini, perché sarà un vero e proprio ristorante) e alcuni aspetti legati all’offerta delle pietanze. Dove McDonald’s ha rivendicato la lunga serie di consorzi Igp e Doc con cui lavorano. Ovviamente, un numero inferiore ai 30 prodotti di filiera corta obbligatori per aprire senza richiesta di deroga. Ma, ha ricordato Masi, «cosa significa locale? Comunale, provinciale, regionale o italiano?». E già nell’intervista rilasciata al Corriere Fiorentino giovedì scorso Masi voleva così sottolineare le contraddizioni di un regolamento basato su dichiarazioni di principio e sull’articolo 52 del Codice dei beni culturali. Ma che, secondo i legali della società, senza altri riferimenti normativi forti rischia di cadere al primo ricorso. E sotto attacco finiranno anche i margini di discrezionalità della commissione.
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