Napoli. Orto sul tetto della Certosa, nei guai ex soprintendente Fabio Postiglione Corriere del Mezzogiorno 15/7/2016
Aveva iniziato a coltivare insalate e broccoletti sul tetto della Certosa di San Martino a Napoli, costruendo un orto abusivo che però nel 2013 era stato fotografato da un turista in visita al Castel Sant’Elmo.
NAPOLI. Aveva iniziato a coltivare insalate e broccoletti sul tetto della Certosa di San Martino a Napoli, costruendo un orto abusivo che però nel 2013 era stato fotografato da un turista in visita al Castel Sant’Elmo. Quella foto fece il giro del web sollevando un gran polverone e l’apertura di una inchiesta. Ma era nulla rispetto a quello che sarebbe stato poi accertato. Per un anno, quell’edificio era stato occupato «sine titulo», perché non sarebbe stata regolarizzata la posizione del «condomino», che era lo stesso Soprintendente. Infine per quell’appartamento (in zona Vomero) era stato versato un canone mensile di 120 euro a fronte degli 870 che avrebbe dovuto fruttare. Ebbene adesso, dopo anni di indagini serrate, la Corte dei Conti di Napoli batte cassa, e con una indagine del sostituto procuratore generale Francesco Vitiello, delegata al Nucleo investigativo dei carabinieri di Napoli, ha notificato un invito a dedurre per oltre 500mila euro (512.036,86). Al centro dell’indagine contabile del magistrato partenopeo c’è l’attività di Fabrizio Vona, ex Sovrintendente del polo museale regionale della Campania, che adesso dovrà entro trenta giorni depositare una memoria o chiedere di essere interrogato dal magistrato nella sede di via Piedigrotta a Napoli. Nuova indagine penale
Vona, che attualmente è Soprintendente dei beni culturali della Puglia, è anche indagato dalla Procura di Napoli. Non solo per l’abuso edilizio dell’orticello per il quale è già a giudizio davanti alla quinta sezione urbanistica e ambiente del Tribunale di Napoli, ma anche per abuso d’ufficio. L’iscrizione in questo caso è nuova e risale ad aprile scorso a firma del pm Loreto. Secondo l’accusa il Soprintendente avrebbe «assegnato ad uso abitativo l’immobile nella Certosa di San Martino dal primo dicembre del 2012, sebbene lo utilizzasse dal giugno dello stesso anno, in assenza di un atto di concessione demaniale e pagando un canone fuori mercato». Una storia che parte da lontano, nel 2012, e prova a configurare un illecito amministrativo con un danno all’erario. Assegnazione della casa
Secondo la Corte dei Conti Fabrizio Vona ha assegnato a se stesso l’immobile nella Certosa di San Martino dal dicembre del 2012, sebbene lo utilizzasse dal giugno e ciò, per l’accusa, è avvenuto senza una concessione demaniale, con una «violazione dei codici di comportamento, compresi quelli relativi all’attuazione dei piani anticorruzione». Vona regolarizzava dunque con ritardo di quasi un anno la propria posizione di concedente, come Soprintendente, e di concessionario di un immobile demaniale, quale condomino. Canone irrisorio
Per la casa, che Vona aveva assegnato a se stesso, pagava un canone mensile di 120,39 euro. In «violazione dei criteri previsti dalla legge» che impone per i beni dello Stato in locazione «gli stessi prezzi praticati in regime di libero mercato e comunque non inferiore all’equo canone». Pertanto, per la magistratura contabile, il Soprintendente avrebbe dovuto pagare 840 euro. «Gli importi quantificati da Vona non sono inoltre rispondenti nemmeno a quelli determinati in base ai cosiddetti canoni convenzionali», che avrebbero portato ad un fitto minimo di 350 euro. Pertanto secondo la Corte il danno erariale, per questa parte di illecito, ammonta a 16mila euro. A questa somma va aggiunta quella per il costo della realizzazione delle opere abusive sul tetto, maggiorato per il costo del ripristino dello stato dei luoghi: 34mila euro. Danni d’immagine
L’importo più consistente che il sostituto procuratore generale contesta a Vona è quello relativo ai danni collaterali delle azioni ritenute illecite «e realizzate con dolo, intenzionalità e preordinazione». Secondo l’impostazione dell’accusa l’ex Soprintendente deve pagare anche per il disservizio provocato dalla sua azione: uno spreco di risorse fisiche, economiche e mentali. Il danno calcolato per questa fattispecie è di 230mila euro. Infine il danno all’immagine della Soprintendenza: quello non patrimoniale ed indiretto «derivante dalla lesione dell’onore e del decoro». Il danno ipotizzato in questo caso è di 230mila euro.
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