LUCCA - Vivai Testi, si fa strada l’idea dell’esproprio di Gianni Parrini 12 luglio 2016 IL TIRRENO
Lucca, trattativa in stand-by. Si valuta il piano B: il ministero potrebbe avviare la procedura
LUCCA. Erba alta e sterpaglie la fanno sembrare una sorta di giungla vietnamita. Ma non siamo nel sud-est asiatico e non c’è nessun Charlie pronto a farci la festa: l’unica cosa in cui potremmo imbatterci è un cartello arrugginito con su scritto “Ingresso Vivai Testi”. Siamo sugli spalti o – per meglio precisare – in quell’unico pizzicotto di terra attorno alle Mura che appartiene ancora ai privati. Qui, lungo viale Carlo del Prete, sorgevano i Vivai Testi, azienda di proprietà dell’omonima famiglia. Il passato è d’obbligo perché ormai l’attività è cessata e lo spettacolo che si presenta agli occhi del visitatore non è certo bello. Sul vialino che doveva accogliere le auto dei clienti per consentire di caricare le piante acquistate, l’erba è cresciuta rigogliosa e selvaggia. Alcune palme sono ancora lì, testimoni di un tempo che fu. Nella fitta vegetazione che ricopre i tre ettari della proprietà, qualcuno dice di aver visto scorazzare anche un daino. Verità o fantasia non è dato saperlo.
Di certo c’è l’intenzione dell’amministrazione comunale di rientrare in possesso di questa ultima parte degli spalti per completare l’anello intorno alle Mura. A novembre scorso il sindaco Alessandro Tambellini aveva addirittura manifestato il desiderio di trasferire qui alcuni padiglioni dei Comics per la 50ª edizione della manifestazione. Ma stando alle voci ufficiali una trattativa vera e propria non è mai stata messa in piedi. E questo nonostante Ultimo Testi, novantenne vivaista, a ottobre avesse reso pubblica la volontà di vendere. Eppure, dietro questo immobilismo apparente, qualcosa si muove.
In un primo momento l’amministrazione comunale aveva pensato di far acquisire l’area a Crea, la società che gestisce i Comics e facente parte della holding partecipata al 100 per cento dal Comune. Ma il piano finanziario e l’impegno economico richiesto per acquisire i vivai non erano sostenibili. Inoltre, il passaggio da un privato a un altro privato (seppur partecipato dal Comune) non rispondeva all’obiettivo di rendere formalmente pubblico il terreno.
Alla fine della fiera, il vero nodo della vicenda sono e restano i soldi: i proprietari dei terreni (oltre ai Testi, ci sono altri piccoli possidenti) giustamente non hanno intenzione di regalare l’area al Comune. I primi tentavi di chiudere l’affare risalgono all’epoca Favilla: ma la valutazione dell’amministrazione era ben distante da quella richiesta da Testi e dagli altri proprietari e così l’affare naufragò. Oggi, anche se i due milioni di cui si parlava all’epoca sono anni luce fuori mercato, lo scoglio continua a essere lo stesso e il fatto che l’attività vivaistica sia cessata non ha favorito granché l’incontro tra domanda e offerta.
Così si esplorano altre strade. L’ipotesi su cui stanno lavorando gli uffici di palazzo Orsetti, in accordo con la Soprintendenza (che ha il vincolo su quei terreni) è quella dell’esproprio. O per meglio dire di una particolare procedura di esproprio: quella per i beni culturali. In questo caso, è il ministro stesso a fare una dichiarazione di pubblico interesse. «È un iter di cui si sono avvalsi tempo fa a Pisa, per consentire all’Università di acquisire i terreni di privati che sorgevano sotto le Mura – spiega l’ingegnere della Soprintendenza Francesco Cecati – Anche in quel caso si trattava di vivai. La procedura prevede una valutazione dell’immobile da parte del soggetto che vuole acquisire la proprietà. Se l’espropriando non è d’accordo ricorre davanti a un giudice che a questo punto fa fare una valutazione terza per stabilire l’esatto valore del terreno. Si farà anche qui? La risposta non spetta a me. Dovete chiedere al Comune. Io sto solo illustrando le procedure esistenti». I tempi per un simile intervento sono quelli soliti della legge italiana: lunghi e di certo non compatibili con una legislatura che ha meno di un anno di vita. Ma se non si parte, non si arriva mai da nessuna parte. Per questo a palazzo Orsetti l’idea dell’esproprio culturale non dispiace.
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