TORINO. L'ira del governo: no a eventi doppione Sara Strippoli 28 luglio 2016 LA REPUBBLICA
Si rischia di replicare nel mondo dell'editoria quello che è accaduto nel cinema, con la mostra di Venezia doppiata da quella di Roma. Dario Franceschini è irritato, prefigura una situazione pasticciata con due saloni che si indeboliscono a vicenda. Nei giorni scorsi aveva detto e ripetuto che il ministero dei Beni culturali avrebbe continuato a sostenere Torino dove il minsitero ha investito impegno e risorse. Il suo appello è caduto nel vuoto. A dispetto del patto istituzionale in difesa del Salone di Torino siglato con la sindaca Chiara Appendino, con il suo predecesssore Piero Fassino e il presidente del Piemonte Sergio Chiamparino. Quel patto non è servito. Nella sede dell'Aie a Milano si scrollano di dosso l'eco di rabbia e malumori: «Mi spiace leggere certe dichiarazioni. Io so cosa ci siamo detti con il ministro», dice il presidente Federico Motta.
Sulla scelta di abbandonare Torino per andare a Milano hanno pesato passato e presente. Inutili gli appelli alla collaborazione del sindaco di Milano Giuseppe Sala, vane le controproposte torinesi. Il fastidio nei confronti dei torinesi nei giorni è cresciuto invece di affievolirsi. L'irritazione può aver trovato un ultimo appiglio con la doppia inchiesta: quella di peculato che ha coinvolto l'inamovibile patron di sempre Rolando Picchioni e l'ultima, scoppiata proprio nel giorno del consiglio generale del 12 luglio, sulla turbativa d'asta per l'assegnazione della gestione del Salone al Lingotto. Ma è solo un piccolo tassello. Gli errori del passato avevano già lasciato un segno, il rinnovo di un anno a Picchioni ed Ernesto Ferrero nonostante fosse chiaro a tutti che era necessaria una nuova formula. Poi la scelta di una presidenza affidata a Giovanna Milella che avrebbe dovuto collaborare con la direttrice Giulia Cogoli, il volto nuovo, la donna che aveva portato al successo il Festival di Sarzana. Peccato che già dopo pochi giorni le posizioni fossero apparse inconciliabili. Cogoli ha lasciato ancora prima della nomina e a salvare l'edizione del 2016 è tornato Ernesto Ferrero. Una soluzione raffazzonata, i conti che non tornano, il deficit da risanare, i tagli e i compromessi.
Anche il presente politico di Torino ha avuto un ruolo. Fino a che a guidare la città era stato un uomo di grandi relazioni come Piero Fassino, un po' di imbarazzo a creare lo strappo era rimasto. Ma un'amministrazione guidata da una sindaca grillina, per quanto rapida Chiara Appendino sia stata a chiudere un'intesa con Gl Events per il Lingotto, ha certo contribuito ad annullare ogni remora. Le posizioni dei 5 Stelle a Bruxelles per la riforma del copyright, si sa, nella sede di Aie non piacciono. Anche la tariffa dimezzata per l'affitto del Lingotto ha fatto innervorsire: perché per anni si è pagato un canone sei volte superiore a quello che adesso offre la Fiera di Rho?
Nulla da fare, dunque. La riunione è finita con 17 voti favorevoli, 8 astenuti e 7 contrari. Una vittoria di stretta misura, nervosismi e malumori. Fra chi ha votato per il progetto torinese nomi di peso come Feltrinelli. Gli editori scolastici si sono dimostrati i più scettici e in gran parte hanno votato per Torino o si sono astenuti. Fra i fan del Salone torinese anche l'ex-presidente Aie Marco Polillo, Marcos y Marcos, Carlo Gallucci editore, il vicepresidente del gruppo "Educativo" Gianni Cicognani di Principato, Piero Manni editori, la casa editrice Sei. Carlo Gallucci commenta amareggiato: «È prevalsa l'irragionevolezza. Una vittoria ai rigori».
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