Sicilia, ai beni culturali servono i soldi privati di GERY PALAZZOTTO 13 agosto 2016 LA REPUBBLICA
Google paga per organizzare una serata sotto il Tempio della Concordia e per una cena in piazza Scandaliato a Sciacca e si scatenano due correnti di pensiero: quella di chi grida al sacrilegio e quella di chi invece grida vittoria. Per scegliere da che parte stare basta dare un’occhiata alla cronaca e farsi una domanda: ai beni culturali i soldi dei privati fanno schifo? a risposta appare scontata, in un contesto in cui i tagli dei fondi pubblici sono sempre più netti. E in cui proprio le linee guida del governo spingono per un maggior coinvolgimento dei privati. La risposta è che gridare al sacrilegio è una follia.
La discussione potrebbe finire qui se non ci fossero argomenti ancora più determinanti. La salvaguardia dei beni culturali ha un costo e i soldi a disposizione sono sempre meno. Dalle sponsorizzazioni dei grandi eventi ai teloni pubblicitari sulle cattedrali con i lavori in corso, dalle donazioni volontarie alla cena di Google, il problema non è — non deve essere — l’utilizzo di un bene (con tutti i crismi di sicurezza, naturalmente), ma la sua resa in termini economici.
L’unico lato positivo delle crisi è che possono far aguzzare l’ingegno, quindi un mondo culturale che non si apre ai privati per raggranellare qualche euro è un mondo che guarda indietro perché ha paura di guardare avanti. Nello specifico, Google ha pagato negli ultimi due anni duecentomila euro per un paio di serate esclusive sotto il cielo della storia. L’impressione è che gran parte dei detrattori di questa operazione siano animati da una malcelata irritazione nei confronti dell’esclusività dell’evento. La loro acredine non si spiegherebbe altrimenti, dato che quei soldi sono serviti all’ente che gestisce il parco archeologico della Valle dei templi per finanziare la manutenzione programmata di quelle meraviglie che saranno certo eterne ma che comunque non nascondono qualche acciacco.
Stesso discorso per piazza Scandaliato a Sciacca: quarantamila euro di suolo pubblico sono un piccolo tesoro per un Comune che per una sera rinuncerà al solito palchetto estivo di onesti strimpellatori e metterà in cassa fondi utili alla comunità. Ecco, è il moderno concetto di comunità il vero snodo di questa diatriba. Sino a quando si crederà che l’interesse comune sia solo la semplice fruibilità pubblica di un bene e non la sua salvaguardia, che la comunità gode solo quando è libera di accedere e non di concedere, vivremo di rincorsa senza mai osare il salto. Il vero scandalo delle serate di Google nella Valle dei templi o in piazza a Sciacca è che non sono dieci, cento. |