Perché il commercio è la piaga dell'arte Cesare De Seta 21 agosto 2016 LA REPUBBLICA
Roger Fry (1866-1934) fu un'intelligenza eclettica non solo per i contributi specialistici di storico dell'arte sui Primitivi italiani, su Giovanni Bellini fino a Cézanne e fu lui a coniare la dizione di Postimpressionismo: la promessa di una nuova arte, titolo di un suo libro. Ma fu tra i primi a mescolare le carte del composito mondo delle arti del suo tempo. Solo la grande scuola di Vienna, con Alois Riegl in testa, ebbero tanto ardimento e sono molti i debiti che la storiografia artistica ha contratto con lui. La raccolta di cinque saggi (1916-26) Incorrotta gioia. Scritti sull'arte, il commercio e lo Stato, a cura di Paolo Martore, Castelvecchi, è una lettura ricca di sollecitazioni e per molti aspetti non affatto invecchiati. Nella densa prefazione Craufurd D. Goodwin ricorda che Fry aveva studiato scienze naturali all'Università di Cambridge, di qui la sua destrezza nel parlare con acume di argomenti che potevano (e possono) apparire così lontani tra loro. Il mercato e il mecenatismo come prima forma di accumulazione capitalistica, la rapacità di quelli che chiama i "plutocrati" – cioè i dominatori della società industriale trionfante – la debolezza dello Stato committente troppo spesso arretrato di musei o di pubbliche architetture. Nel 1913 fondò il laboratorio di design Omega e l'analisi che lui fa dei fruitori d'arte è di rara perspicacia e li divide in categorie che sono ancora attuali: gli snob, i borghesi e i veri cultori d'arte, che al pari dei veri artisti erano e saranno sempre rivoluzionari e anarchici. Il mercantilismo è la piaga che mina alle radici l'arte, ma nel XIX secolo si verificò una vera e propria rinascita di un'arte libera da qualunque prigione accademica e del tutto indifferente al mercato: di qui la sua propensione per quel vasto territorio della creatività artistica che si ebbe in Francia che lui studiò con passione, sottolineando la mediocrità dei Salons e della commesse pubbliche. Di qui un capitolo dedicato all'Esigenza del superfluo, perché "l'arte non serve a nulla", serve soltanto a sollecitare lo spirito di chi ha la sensibilità di riconoscerla. Scrive pagine sferzanti sui musei tedeschi e inglesi: raccolte disuguali di orribili "opefatti" e magari di splendide opere. Belle sono le pagine distribuite in questi saggi sull'educazione all'arte che è una pratica socialmente poco utile, «perché non è chiaro se l'arte possa o meno essere insegnata», ma distinse precocemente l'educazione all'arte dallo studio della storia dell'arte. Malgrado l'ammirazione per Rusckin e Morris fu ostile alla tradizione socialista e fabiana. In una mente geniale come quella di Fry non mancano le contraddizioni perché nel corso di una vita operosissima passò di palo in frasca, ma l'ammirò Wirignia Woolf che ne scrisse una biografia (1940), affascinata dall'intelligenza anticonformista di questo suo amico.
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