Il nuovo marmo che «sbianca» il volto del Duomo Pierluigi Panza Corriere della Sera - Milano 10/10/2016
È un lavoro che prosegue uguale da sette secoli. Le parti del Duomo rovinate vengono sostituite con marmo nuovo. Gli esperti della Veneranda Fabbrica agiscono su blocchi estratti dalla Cava di Candoglia dal 1387, il cui utilizzo è autorizzato da una bolla di Gian Galeazzo Visconti, prorogata dagli Sforza, da Mussolini e dal governo repubblicano. Le parti sostituite vengono depositate tra via Brunetti e i viali Espinasse e Certosa.
Dura la vita del Duomo: dura da sette secoli ed è dura da portare avanti. E anche unica, particolare.
Tra i molti meriti della Veneranda Fabbrica del Duomo, che da sempre si occupa della cattedrale, ne ricordiamo due recentissimi: la riapertura dell’Archivio storico completamente risistemato e reso adatto per studi ed esposizioni e l’impegno in campo musicale (la musica a Milano nacque con Gaffurio e la Cappella del Duomo) anche insieme alla Scala. Su alcuni aspetti architettonici e artistici, però, la Fabbrica potrebbe avviare un dibattito con la cultura cittadina, e viceversa.
Un aspetto che ha colpito alcuni lettori è questo. Chiunque osservi il lato nord del Duomo, quello verso la Rinascente, o magari lo osservi dalla terrazza della Rinascente — che quest’anno compie 100 anni e sarà sede di mostre e molti visitatori — può notare l’evidenza delle sostituzioni in copia delle parti ammalorate della cattedrale: un colore grigiastro e patinato caratterizza la cattedrale, mentre un bianco «Dixan» le nuove parti di volta in volta rifatte in stile e destinate a diventare a loro volta «antiche» ma, in realtà, copie moderne. Sì, la nostra cattedrale è in perenne rifacimento, non solo in perenne manutenzione. Le parti ammalorate vengono periodicamente rifatte: pilastrini, guglie, ogive, statue… «Le parti più bianche — confermano dalla Veneranda Fabbrica — sono parti ammalorate e sostituite da nuovi elementi, sempre realizzati da nostre maestranze e con le medesime tecniche e il medesimo marmo di Candoglia, che dal 1387 nutre la Cattedrale». Non si tratta solo di puliture, ma proprio di sostituzioni che la Fabbrica realizza da sette secoli. Dal 1387 infatti — grazie a una bolla di Gian Galeazzo Visconti prorogata dagli Sforza e anche da Mussolini — i blocchi del prezioso materiale del Duomo vengono estratti dalla stessa cava di Candoglia e lavorati a Milano da maestranze che si passano il mestiere. È un’epica grandiosa e unica; ma questo modo di procedere è contrario a quello delle contemporanee Carte del restauro dei monumenti, delle teorie suggerite dalla scuola di restauro del Politecnico — che prescrivono una rigorosa conservazione delle parti materiali — e anche a un comune sentire rispetto all’originale. A Notre Dame, ad esempio, dopo le feroci critiche di fine Ottocento per i restauri sostitutivi e in stile orchestrati da Viollet Le-Duc, si è progressivamente proceduto in maniera diversa.
Inoltre, dove finiscono le statue e i «gotici» ghirigori rimossi? In un cimitero delle statue in via Angelo Brunetti, un’area tra i viali Espinasse e Certosa. E qui veniamo a un altro aspetto sul quale alcuni ambienti architettonici si interrogano: ma queste statue, anche di qualità, sostituite perché ammalorate e con rischi di distacco, non possono essere riutilizzate? A parte alcune esposte nel Museo del Duomo, le statue stanno lì, nel cimitero. Recentemente, anche in un concorso, l’ex presidente dell’Accademia di Brera, Filippo Tartaglia (con l’architetto Stefania Seddio) aveva proposto un loro riutilizzo lungo l’asse di via Dante, come una sorta di percorso cerimoniale che giungeva sino a piazza del Duomo, dove ora ci sono le sculture all’aperto di Consagra. «Un percorso di arte open-air fatto come di statue scese dal Duomo per accogliere il visitatore», lo ha descritto il progettista. Per ora non se ne è fatto nulla.
E così, l’unica struttura di fianco al Duomo da sempre inamovibile resta il casotto per gli attrezzi della Fabbrica, posto sul lato Sud, verso l’ingresso di Palazzo Reale. Molti anni fa era stata avanzata una proposta di interramento di questo deposito, mai andata a buon fine. E tuttavia, se questo spazio di attrezzi e lavoro fosse reso «trasparente», diventerebbe almeno un cantiere osservabile, magari parte finale di un percorso di visita alla cattedrale, un po’ come oggi si fa per il restauro dei quadri nei principali musei del mondo. |