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Carte di Verga, asta con giallo
Paolo Di Stefano
Corriere della Sera 28/11/2016

Giovanni Verga è lo scrittore più tormentato in morte che si conosca: membra sparse ovunque, metaforicamente ma non troppo. Ci risiamo con la storia infinita delle carte. Nel 2013 un’enorme quantità di autografi verghiani fu sequestrata dalla magistratura e dopo quasi 4 anni rimane ancora depositata in via cautelativa nel Centro Manoscritti dell’Università di Pavia. Non è risolto quel caso e già emerge dal nulla (o quasi) un altro tesoro di documenti inediti. Le carte lasciate dall’autore de I Malavoglia non finiscono di stupire dopo decenni di battaglie legali tra gli eredi e la Regione Sicilia da una parte e dall’altra la famiglia Perroni che, ottenuta la custodia nel 1928 per volere del ministro Giuseppe Bottai, non ne ha mai voluto sapere di restituire l’intero malloppo. Anzi, ha finito per smembrarlo, trattenendone delle parti e altre distribuendole qua e là, anche se la Regione sarebbe la legittima proprietaria del corpus integrale, avendolo acquistato per 90 milioni nel 1978 (e non essendone mai entrata in pieno possesso). Ora, la casa d’aste Christie’s annuncia, per il 5 dicembre a Parigi, la messa in vendita di un’altra preziosa sezione di carte verghiane sconosciute.

Si tratta di tre lotti: la versione autografa della Cavalleria rusticana per il cinematografo , cioè il soggetto della celebre novella in 12 quadri (e redatta su otto pagine); 78 lettere autografe (e 10 telegrammi), per un totale di 320 pagine, indirizzate tra il 1880 e il 1916 per lo più ai fratelli Pietro e Mario e al suo nipote Giovannino (futuro erede unico), dove si parla dell’elaborazione della Cavalleria , del successo teatrale e delle vicende giudiziarie che videro a lungo contrapposti Verga e Giuseppe Mascagni (ma anche l’editore Sonzogno) per i diritti legati all’opera musicale (definita «una contraffazione e un plagio della nostra Cavalleria »); 198 lettere familiari (e 20 telegrammi), per un totale di 540 pagine, che hanno come destinatari la madre, ancora i fratelli e il nipote, e che si estendono dal 1869 al 1921.

Isabelle de Conihout, direttrice del Dipartimento Libri Rari e Manoscritti di Christie’s, dice: «Quando ho visto il materiale non potevo credere ai miei occhi». E avverte che per accaparrarsi il tesoro verghiano si stanno muovendo i collezionisti e le grandi biblioteche internazionali, ma che la speranza è che ad acquisirlo siano le istituzioni italiane: l’appello esplicito è rivolto al Ministero dei Beni Culturali e alla Regione Sicilia. Valore complessivo per oltre 200 mila euro, provenienza ufficiale segnalata nel catalogo Christie’s: « Giovannino Verga – collezione privata francese ». Sarebbe un’acquisto di circa trent’anni fa. Tanto o poco che sia il valore, va ricordato che la questione giudiziaria pone tutto sotto una luce alquanto misteriosa: tanto più se si pensa, lasciando perdere il sequestro citato, che già nel 2008 la Regione dovette sborsare 120 mila euro per assicurarsi un carteggio verghiano messo in vendita sempre da Christie’s a Parigi.

Questa volta la vera perla è il manoscritto della Cavalleria cinematografica , che testimonia la precoce attenzione dello scrittore per il cinema, nonostante le diffidenze espresse più e più volte nei confronti di un’arte considerata minore se non addirittura «castigo di Dio», «sacrilegio», «parodia» e «romanzo d’appendice per analfabeti». Fatto sta che dopo il trionfo delle rappresentazioni teatrali della Cavalleria , a partire dalla prima torinese del gennaio 1884 e proseguendo con il successo romano dell’opera realizzata da Mascagni nel 1890, Verga viene trascinato suo malgrado nel mondo del cinema, senza dimenticare che spesso e volentieri le sue opere vengono trasposte senza preavviso. Alla fine del 1909, sulle ali della fama internazionale dovuta al recente successo all’Odéon di Parigi, Verga riceve dalla casa francese Acad (Association Cinématographique des Auteurs Dramatiques) la richiesta di cedere i diritti della Cavalleria rusticana per il cinema. Mediatrice è Giulia Dembowska, nota come Darsenne, cui si deve la traduzione in francese del testo teatrale. Scrive Carla Riccardi, che ha curato nel 1995 un volumetto Bompiani con Due sceneggiature inedite verghiane: «Lo scrittore acconsente subito, preoccupato solo da questioni di diritti e, dunque, economiche, ma evidentemente lusingato che, dopo testi come I promessi sposi e l’ Inferno , tocchi alla Cavalleria . È possibile che conosca questi film, data la presenza di ben tre sale cinematografiche a Catania, e che proprio da questa conoscenza derivi la consapevolezza del diverso linguaggio parlato del cinematografo rispetto alla narrativa e al teatro».

Verga si fida (dice di fidarsi), lascia carta bianca alla traduttrice, la quale, a scanso di equivoci, gli spiega le differenze strutturali tra cinema e letteratura: «L’adattazione scenica per cinematografo — scrive la Darsenne — deve naturalmente seguire il testo ma non può limitarsi ad esso. È necessario rendere comprensibile colla sola azione senza dialogo aggiungere dei quadri». Nasce qui il rapporto conflittuale poi pacificato e infine gratificante di Verga con il cinema. L’autore sottoscrive un contratto con la società parigina per 500 franchi da dividersi con la Darsenne, che si incarica della sceneggiatura. «Risposi che capisco bene le diverse esigenze dello svolgimento scenico per la cinematografia, ma appunto per questa diversità era meglio che io autore delle scene parlate non vedessi», scrive Verga all’amico Marco Praga il 27 dicembre, giustificando così la rinuncia a leggere lo scenario. Il film, che uscirà nel 1910 con la regia di Emile Chautard, Verga non gli farà una grande impressione («Una rappresentazione che io non arrivavo a capire…»).

In realtà già si conosceva un adattamento autografo della Cavalleria : era una bella copia pulita ma le 4 veline (310 per 210 millimetri) vergate con inchiostro nero che emergono adesso a Parigi ne sono il prezioso antefatto. Una minuta tormentatissima, colma di cassature e di correzioni interlineari, di minuscole aggiunte a margine (nella solita grafia pressoché indecifrabile ai più), contenente la prima elaborazione cinematografica della Cavalleria in 12 «quadri». Datazione incerta, forse non proprio a ridosso della richiesta della Darsenne, se si pensa che ai dubbi iniziali di Verga sulla «settima arte» subentra una nuova disponibilità, anzi un vero e proprio ripensamento delle strategie stilistiche, solo da quando, nel 1912, il suo amore della maturità Dina di Sordevolo fa balenare a Verga la prospettiva di grandi guadagni che potrebbero provenire dallo sfruttamento della sua opera in chiave cinematografica.

È anche per andare incontro alle necessità economiche della sua Dinuzza che Giovanni cede al richiamo di San Cinematografo. La lunga storia di questa relazione che va dal rifiuto netto all’avvicinamento e poi alla piena adesione è raccontata in un lungo saggio di Sarah Zappulla Muscarà del 1999. Il 25 aprile 1912, Verga scrive a Dina: «Farò il lavoro che vorreste affidato a mio nipote (...). Ma vi prego e vi scongiuro di non dir mai che io abbia messo le mani in questa manipolazione culinaria delle cose mie». Sarà dunque un lavoro dietro le quinte realizzato su vari testi, forse sperando anche di limitare i danni che altri minaccerebbero di procurare.

Ciò non toglie che anche il commediografo Nino Martoglio, Federico De Roberto e persino Domenico Oliva, già direttore del «Corriere» , diranno la loro su Storia di una capinera , elaborata cinematograficamente nel 1913. Di lì a poco, nel 1916, usciranno ben due film in contemporanea tratti dalla Cavalleria : quella della Flegrea Film e quella della Tespi Film. La prima, su musiche di Mascagni, per la regia di Ubaldo Del Colle; la seconda diretta da Ugo Falena e approvata da Verga. Il che finirà per acuire la polemica tra lo scrittore e il compositore. Pur di realizzare utili, Verga è sempre più disposto non solo ad abbandonare a uscire allo scoperto affinando l’esercizio della sceneggiatura, cioè della traduzione dalla letteratura al cinema, e provando a farne un’arte. Dove si colloca, in questo lungo percorso, l’inedito parigino? Ai verghisti (che sono tanti e qualificati) l’ardua sentenza.

Intanto varrebbe la pena gustarsi alcuni passi delle lettere. Il 6 maggio 1885, nel pieno delle prove milanesi della Cavalleria , riferendosi a Eleonora Duse, Verga scrive imperiosamente al fratello Pietro: «Quella è vecchia, gli attori fanno quello che voglio io...».



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