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Roma. Chiudere i nasoni: ma perché?
Vittorio Emiliani
Corriere della Sera - Roma 28/6/2017

Ma davvero si può ridurre ai Nasoni la grande questione dell’acqua a Roma? Diffondono appena l’1,1 per cento dell’acqua messa in rete dall’Acea. In una città con milioni di turisti (per non parlare dei più poveri), chiudere del tutto i Nasoni vorrebbe dire eliminare un autentico servizio sociale. Ora si pensa di bloccarne una metà. Non era meglio ridurne il flusso o chiuderli di notte? Fra l’altro Roma, a parte alcune piazze storiche e la surreale piazza San Silvestro, non offre più gratis nemmeno una panchina. Bisogna pagare tutto. Torniamo all’acqua. L’appello delle autorità capitoline per ridurre i consumi domestici sono sacrosanti, ma non intaccano a fondo i problemi veri dell’acqua. Infatti nelle case italiane (e romane) si consuma soltanto il 15 per cento di tutta l’acqua erogata. Inoltre siamo già scesi in media da 206 litri/abitante al giorno a 160-180 litri (- 15 %). A Roma i consumi domestici sono sempre stati più alti, anche a causa delle basse tariffe che incoraggiavano lo sciupio. Tasto dolente: l’acqua potabile (compresa depurazione e rete fognaria) è sempre costata poco. Qui e altrove. È vero che di recente le società acquedottistiche private hanno troppo inasprito le tariffe. Però in media siamo ancora bassi. Poi, certo, ci sono le perdite delle reti, tuttavia bisogna avere i capitali per rifare le condotte. Secondo statistiche di Hera, a Berlino si pagano 975 euro per 200 metri cubi di acqua, un’enormità, a Parigi 599, a Bruxelles 572, a Varsavia 531, a Barcellona 462, a Roma 204. E i consumi?
I berlinesi si fermano a 124 litri al giorno per abitante, a Bruxelles e a Barcellona a 127-128, a Roma essi risultano doppi: 200-250 litri a testa. Tuttavia, insisto, i consumi di acqua potabile costituiscono la quota minore. È giusto insistere sui risparmi, senza però aspettarsi chissà quali economie di scala. Grandi consumatrici d’acqua in Italia sono infatti l’energia e l’industria, e ancor più l’agricoltura col 60 per cento e oltre. Il 28,5% della superficie irrigata è coltivata a mais da granella. E qui sorgono i primi dubbi: è conveniente? Poi emergono dalle superfici irrigate gli erbai e le altre foraggere avvicendate (14,4%). Altri seri dubbi: con queste materie prima si alimentano gli allevamenti, dove, per produrre una bistecca da 300 grammi, ci vogliono 1.000 litri d’acqua. È sostenibile tutto ciò? Per una sana dieta mediterranea sono da incentivare ortaggi e frutti tradizionali del nostro territorio. Grandi consumatori di acqua, con effetti negativi sul suolo, sono purtroppo i Kiwi di cui siamo diventati i primi produttori dopo la Cina. A quale prezzo? Bisogna depurare, riciclare e stoccare maggiori quantità di acqua non sprecando quella potabile per usi industriali o irrigui. Bisogna passare dalla irrigazione diffusa (col caldo l’acqua di superficie evapora subito) a quella sotterranea, a goccia. Lo si sta facendo nel territorio romano-laziale? Spero di sì. Altrimenti l’agricoltura sarà sempre più la vittima di se stessa.



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