Firenze. Storia di due gru, ormai entrate nelle cartoline... Alessio Gaggioli Corriere Fiorentino 6/2/2018
Cesare Rossi, professore di filosofia al liceo, ripeteva spesso che la vita non annoia se ci si continua a meravigliare. Se ogni giorno si scopre qualcosa di nuovo, di mai visto. Un merlo sbucciato su una torre, un terrazzo mai notato e rigoglioso di fiori. Una luce particolare che illumina la punta estrema di San Petronio, la cattedrale di Bologna. Cesare Rossi, pace all’anima sua, era kantiano (rigoroso, preciso, abitudinario) e bolognese. Lo immagino mentre passeggia sulla strada, sfiorato dalle auto e dagli autobus, fuori dai portici che proteggono ma coprono tutto, sempre col naso all’insù per scoprire qualcosa di nuovo della sua città. Diceva sempre: «Camminate a testa alta, guardate in alto, conoscerete un’altra città. Stupore ad ogni passo».
Caro professore, non avevi del tutto ragione. A Firenze, dove non ci sono i portici e in una manciata di passi sei al Piazzale, c’è qualcosa che nello skyline non cambia da un secolo. Nella vecchia cartolina che comprende la cupola del Brunelleschi, il campanile di Giotto, la Torre di Arnolfo, il Bargello, la Sinagoga ci sono ormai di diritto le due enormi giraffe di metallo degli Uffizi. Tre sindaci (Domenici-Renzi-Nardella) hanno aperto o aprono la loro finestra a Palazzo Vecchio sbattendoci contro. Contro quella «gru nel buco nero di piazza Castellani, come ha detto Eike Schmidt. Sempre lì, sempre immobile, dal 2006. A pochi metri la sua gemella (montata circa un anno dopo, nel 2007), nel piazzale degli Uffizi, che sembra una grande antenna o un grande ripetitore sopra la Loggia dei Lanzi. Caro professore, Firenze fa eccezione. La storia italiana degli Uffizi (come altre grandi opere nel nostro Paese) è una eccezione alla tua voglia di meravigliarti. Di scoprire le piccole bellezze, i particolari nascosti dell’altra città della testa all’insù. A quelle gru ormai siamo tutti abituati. Sono parte integrante dello skyline, testimoni viventi dell’impresa senza fine «Nuovi Uffizi».
Breve e sommaria rassegna stampa dei pronostici sulla «Liberazione» della cartolina-Firenze. Di Grandi o Nuovi Uffizi se ne parla da oltre 50 anni. Nel ‘95 l’idea è dell’allora soprintendente Antonio Paolucci che ha fatto a tempo a fare il ministro (nel governo Dini), ad essere direttore generale dei Beni Culturali per la Toscana, direttore dei Musei Vaticani una volta andato in pensione e ora di nuovo a riposo. A marzo del 2006 era insieme al ministro Rocco Buttiglione per l’annuncio dell’avvio dei lavori: «Le idee buone richiedono molto tempo per maturare», si giustificò il ministro a nove anni (era il 1997) dal pronostico di uno dei suoi predecessori, Walter Veltroni («Entro il 2000 il nuovo museo») e a due da quello di Giuliano Urbani: «I Nuovi Uffizi? Pronti entro la metà del 2007». Tralasciamo chi è venuto dopo, non per scarsa considerazione, ma per risparmiare e risparmiarci ulteriori facili ironie e poi la storia più recente — i fondi che non arrivavano, il commissariamento, le grinfie della «Cricca» sul grande cantiere — è ormai nota.
In fondo le gru sono sempre lì. In un vecchio articolo-inchiesta di «Artemagazine» sui ritardi dei lavori nei grandi musei italiani parlava un tassista fiorentino: «È dagli anni Settanta che io mi ricordo le gru al lavoro». In effetti proprio in piazza Castellani c’era quella della Mugelli costruzioni (per i lavori di rifacimenti del tetto di alcune sale della Galleria) che dopo una dura lotta fece rimuovere negli anni Ottanta il soprintendente Angelo Calvani. Poi il ritorno. Per i funzionari del museo, vecchi e nuovi, una normalità. Quasi si stupiscono delle nostre domande sulle gru gemelle entrate di prepotenza in cartolina. «Ma sono ferme o lavorano? Quando se ne andranno?». «Ma quella in piazza Castellani attende l’arrivo della Loggia di Isozaki-Godot?». Qualcuno ha rinunciato a dare date definitive sul termine lavori. L’appendice Isozaki è il buco nel buco nero, per usare la definizione di Schmidt (che già un anno fa chiese al ministero di fare presto «o altrimenti perdiamo i fondi e rischiamo penali più alte del costo dei lavori»). «Tanto non si farà mai», è il refrain da via della Ninna. «Tanto se Berlusconi vince le elezioni e Sgarbi diventa ministro su Isozaki calerà il sipario». Già Sgarbi, quello che definì la loggia un «materasso», o un progetto «omosessuale» perché si occupa di un retro. «Un reperto archeologico, un relitto del Novecento», ci disse Paolucci nel 2009. Un progetto a cui Firenze è ancora appesa. Come se anche quella gru in piazza Castellani stesse aspettando il da farsi. E forse è proprio così. Dice un vecchio funzionario ormai in pensione: «Hanno sempre detto che finché quella gru non veniva smontata la Loggia di Isozaki non si poteva fare». E forse è meglio non guardare all’insù o abituarsi davvero alla cartolina Firenze con le due immense giraffe gialle che la deturpano e senza la Loggia di Isozaki.
D’altra parte, caro professore, chi ha trascorso una vita agli Uffizi ci dice che «una gru fa sempre comodo». Anche per allontanare le decisioni: Isozaki, sì, Isozaki no, Isozaki forse. |