CIVITA DI BAGNOREGIO (VITERBO) - La corsa al selfie nel borgo che scompare CORRADO ZUNINO 3 APRILE 2018 la repubblica
Alle otto di sera in Municipio, dove è rimasto a presidio solo il vicesindaco, si segna il record: tredicimila presenti, presenti paganti. Mai visti, così tanti, sul sedime della rupe franante di Civita di Bagnoregio. Dalla conta sono esclusi i bambini sotto i sei anni: salgono gratis loro, spesso in spalla. Ecco, ventimila viaggiatori di Pasquetta erano, instabili, con i piedi su questa rupe nell’Alto Viterbese. Larga cento metri, profonda centocinquanta, è abitata da sedici persone. E ora invasa da ventimila turisti. I residenti in queste ore d’assedio, in verità, sono fuggiti via. Otto sono nuclei di famiglie antiche, gli altri otto rappresentano tre famiglie vip richiamate dalla bellezza metafisica del luogo e dagli abbandoni che hanno svuotato i palazzi di tufo. Paolo Crepet, lo psichiatra di Porta a porta, ha preso e saggiamente trasformato l’ex arcivescovado Corte della Maestà: “No picnic” ha scritto su una tavoletta e l’ha poggiata su un vaso di coccio, poi è scappato. Il regista Peppe Tornatore — lo chiamano Peppe qui — si è detto «folgorato» vent’anni fa dalle giornate di nebbia che facevano sembrare Civita un’isola sospesa, un effetto alla Avatar. Vive qui, ancora, il direttore creativo di Gucci, Alessandro Michele. Per Time uno dei cento uomini più influenti al mondo. Civita, la Rupe, è uno dei non pochi borghi italiani abbandonati. Nei Sessanta, nei Settanta, fino agli anni Ottanta. Squassata da un terremoto che nel 1695 creò una voragine tra la rocca e Bagnoregio, separando appunto i paesi, ha visto le mura e le case medievali erose giorno dopo giorno da un processo geologico che ha creato intorno i calanchi, le meravigliose montagne scarnificate. Ogni anno le mura perdono sette centimetri e nuove frane fanno rotolare a valle tufo e argilla. Il fascino del paese che muore, parente appenninico di Venezia, ha sempre richiamato curiosi del disfacimento, esteti pronti a gettare l’ultimo sguardo sulla rocca che domani potrebbe non esserci più. Ancora nel 2009 si valutavano quarantamila turisti ogni anno, e già erano passati di qui i set di Federico Fellini ( La strada), Totò ( I due colonnelli) e Alberto Sordi ( Il prete). In quell’anno, il 2009 appunto, Francesco Bigiotti, viterbese, farmacista da quattro generazioni, venne eletto sindaco e decise di coinvolgere i bagnoresi arresi al declino — “la città che muore” era stato conio vincente dello scrittore Bonaventura Tecchi — in un tentativo di resurrezione. Partì, allora, un incisivo marketing fatto di relazioni personali, anche grazie all’Associazione Civita, con Gianni Letta presidente, e investimenti in scala: la cartolina di Civita approderà nel 2015 all’Expo di Milano e poi all’esposizione in Kazakistan. Quindi accordi con Costa Crociere e un’attenzione formidabile al mondo del cinema e della pubblicità: senza alcuna spesa — garantisce sempre il Comune — si costruiranno a 443 metri sul livello del mare spot per vendere marmellate e abbonamenti telefonici e set, lo scorso luglio, con Diego Abatantuono primo cittadino locale ( Puoi baciare lo sposo). «Ad ogni uscita in sala, passaggio televisivo, pagina di giornale si vede l’effetto richiamo già nel weekend successivo», racconta Luca Profili, vicesindaco di soli 29 anni. I visitatori crescono in modo impressionante, «un treno che c’è arrivato addosso», dice il sindaco farmacista. Dopo cinque anni, alla fine del primo mandato, sono quasi dieci volte tanto. Dopo dieci anni, fine 2017, sono 850mila, oltre venti volte. Nell’estate 2013 il sindaco — contro il parere di molti in giunta — scommette sull’unicità del luogo e impone un biglietto d’ingresso: il flusso non si arresta. E non si ferma neppure dopo il ritocco all’insù del prezzo: tre euro i feriali, cinque euro i festivi. Civita, la città (o il paese) che ha smesso di morire, entra nei dépliant dei grandi tour operator, soprattutto orientali. Oggi i visitatori stranieri più assidui sono i cinesi. Insieme ai pullman iniziano a entrare soldi: i 24.500 biglietti staccati nel weekend di questa Pasqua (40mila i visitatori totali) valgono 105mila euro netti per il Comune, che li reinveste per creare pozzi e fermare le frane. Dicevamo, coinvolgere i bagnoresi. Gli incassi consentono di abbassare le tasse: via la Tasi prima che lo faccia Renzi, via l’imposta comunale, «ora stiamo lavorando per togliere le tasse sulle seconde case». Mensa scolastica, scuolabus e parcheggio, a Bagnoregio, sono gratuiti. E sotto a un certo reddito minimo, ogni famiglia residente ottiene dal Comune 500 euro. L’esercito del selfie porta lavoro come non si è mai visto: accanto alle quattordici attività à la page che ripartono nel borgo di tufo, cantine, enoteche, bed and breakfast, giardini con spezie a pagamento, nei dieci anni di doppio mandato di Bigiotti giù in paese vengono aperte 227 nuove attività. L’ultima, la settimana scorsa, una gelateria vicina al corso di Bagnoregio. «Abbiamo resuscitato un paese morente», dice il sindaco, «ora lo candidiamo a patrimonio dell’umanità».
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