Il manifesto di Vasari Chiara Dino Corriere Fiorentino 18/9/2018
È un mondo questa piccola grande sala che andremo a visitare tra settembre e ottobre tutti i giovedì pomeriggio. È un mondo che a interrogarlo dice tanto di Giorgio Vasari che la elesse a sua dimora dal 1557 fino alla sua morte, nel 1574, e del dibattito sull’arte che infervorava gli animi quando dal Rinascimento si scivolava nel Manierismo.
Vasari arrivò nel palazzo di Borgo Santa Croce 8 a 46 anni. Era già artista di corte, aveva già girato l’Italia con lunghe soste a Roma, aveva già pubblicato le due edizioni delle Vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori. Il 30 maggio del 1557, come testimonia una lettera di ringraziamento che scrisse al duca Cosimo I, prese possesso della dimora dopo aver soggiornato, sempre a Firenze, in via Larga e vicino Ponte Vecchio. E in un primo momento questa abitazione che consisteva in tutto il palazzo — oggi sopravvive come un tempo solo la sala grande — la occupava pagando una pigione al suo mecenate. Arrivò in Borgo Santa Croce che lavorava già alla ristrutturazione di Palazzo Vecchio. Ma fu prima di mettere mano al grande cantiere degli Uffizi (1560) e al celebre suo Corridoio (1565), però, che chiese e ottenne di essere esonerato dall’affitto «in conto per le opere mie». Il 20 giugno del 1561, dopo varie sollecitazioni, la dimora sarebbe diventata di proprietà dell’artista per privilegio ducale. Il palazzo ha avuto vari passaggi di proprietà: oggi la sola sala grande, quella che vedremo nel corso di questi sei incontri con il CorriereFiorentino, resta come spazio museale, anche se è di proprietà di privati e la gestione del museo Horne consente di visitarla solo su prenotazione. Il resto del palazzo è abitato da privati cittadini. Di quello che doveva essere il suo aspetto originale quanto a decorazioni c’è solo una traccia anche nella corte dove, alla sommità di un portone che dava accesso alla bottega dove Vasari lavorava con i suoi allievi, si intravede una decorazione con lo stemma mediceo e due figure allegoriche.
Oltre quel portone, per dire, sono stati eseguiti, la maggior parte dei dipinti su tavola per il soffitto del Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio. La sala grande si trova al piano nobile ed è affrescata nella sua interezza. Con un impianto narrativo coerente alla cui base sta lo stesso concetto che ritroviamo esposto nelle Vite laddove l’artista scriveva «il disegno, padre delle tre arti nostre, architettura, scultura e pittura, procedendo dall’intelletto, cava di molte cose un giudizio universale». La centralità del disegno dunque viene raffigurata attraverso la rievocazione di figure di artisti dell’antichità secondo delle indicazioni che a Vasari giungevano da Vincenzo Borghini: spedalingo agli Innocenti e luogotenente all’Accademia del disegno fu lui, il censore del Decameron di Boccaccio che, traendo spunto dalla NaturalisHistoria di Plinio il Vecchio e dalle storie di Erodoto ispirò Vasari. In un ipotetico giro in senso orario, entrando sulla sinistra, accanto al camino, ecco l’incipit di questo manifesto per immagini: viene raffigurata la scoperta del disegno con un giovane pittore intento a riprodurre la sua sagoma usando l’ombra del suo corpo prodotta da un lume che si è acceso alle spalle. A sinistra l’allegoria della scultura, a destra quella della scrittura. Sopra il camino il volto dello stesso Vasari circondato dagli stemmi suo e della moglie, Niccolosa de’ Bacci. Ancora più in alto una cornice — che di fatto sarà riprodotta identica in tutte le quattro pareti — dove il padrone di casa ha raffigurato i volti degli artisti al centro dei quali lui stesso idealmente si pone (da sinistra appaiono Perin del Vaga, Giulio Romano, Rosso Fiorentino, Francesco Salviati). A seguire, la parete che si affaccia su Borgo Santa Croce, ha un intento solo decorativo. Due erme alate sorreggono il cornicione dove troviamo i volti di Cimabue, Giotto e Masaccio. Nella parete successiva quattro pannelli: alle due estremità le allegorie di architettura e pittura; al centro la storia di Zeusi e delle cinque fanciulle più belle di Agrigento e cioè di quel pittore che, dovendo decorare il tempio dedicato a Giunone, per dare vita a una figura di donna perfetta, aveva riprodotto le caratteristiche migliori delle cinque più belle fanciulle della città (ritratte in uno dei due pannelli centrali) sintetizzandole in una sola (nell’altro pannello). Gli artisti in alto sono Raffello, Michelangelo, Leonardo, Andrea del Sarto. Infine la parete su cui insiste l’ingresso. Accanto all’allegoria della musica e sotto lo stemma mediceo, il volto di Donatello (sx) e quello di Brunelleschi (dx), ecco la storia di Apelle e il calzolaio, dove il pittore di Coo, curioso di sapere cosa il popolo minuto pensasse delle sue opere, si nasconde dietro a un suo dipinto. Qui ascoltato il commento di un calzolaio che contesta la fattura di un calzare è pronto a intervenire sull’opera. Salvo stoppare il suo detrattore quando questi prova a mettere in discussione altre parti dell’opera. Ne consegue che ne sutor ultra crepidam, ovvero un calzolaio non può giudicare oltre i calzari.
INFO: Dal 20 settembre (la prima serata è sold out) e poi per altri 5 giovedì (27 settembre, 4,11,18 e 25 ottobre) apre Casa Museo Vasari in Borgo Santa Croce 8 L’attore Giovanni Pruneti leggerà le «Vite» riscritte per il «Corriere Fiorentino» da Enzo Fileno Carabba
Ingresso per 25 persone a sera, obbligatoria la prenotazione: 055.217704 dal lunedì al venerdì (dalle 9 alle 13 e dalle 15 alle 18) https://corrierefiorentino.corriere.it/firenze/notizie/arte_e_cultura/18_settembre_18/manifesto-vasari-7363d7d8-bb23-11e8-8076-144b6a59e054.shtml
|