C’è un altro museo dentro gli Uffizi C.D. Corriere Fiorentino 30/5/2019
Il testa a testa tra la scuola fiorentina e quella veneziana, nella pittura cinquecentesca, ha da ieri il suo palco: 14 nuove sale agli Uffizi per 105 opere, tante dai depositi, su 1.100 metri quadrati, al primo piano dell’area di Ponente. Con questa nuova presentazione la riscrittura della trama narrativa della Galleria di Eike Schmidt, che si distanzia dall’allestimento del precedente direttore, arriva quasi a compimento. Il lavoro di sistemazione di queste sale dona alla Venere di Urbino di Tiziano una stanza a sé: siamo nella sala 10, l’opera è tra la Flora , sempre del Vecellio, e la cosiddetta Fornarina di Sebastiano del Piombo ed è anticipata, in una anticamera, dalla Venere e Cupido con cagnolino ancora del pittore veneto. Ma se questo è l’akmé della nuova idea del ‘500 agli Uffizi, è tutto il percorso che va capito. Ieri il narratore della nuova soluzione espositiva di Schmidt, applauditissimo, è stato Antonio Paolucci, che già aveva apprezzato anche pubblicamente le sale di Leonardo, Michelangelo e Raffaello. «Quanto hanno fatto Schmidt, con l’architetto Antonio Godoli — ha detto l’ex ministro e storico dell’arte — ha richiesto una sensibilità particolare. Si trattava di sintetizzare un secolo come il Cinquecento. Si trattava di mettere insieme la sua squisita e raffinata eleganza, la sua appassionata e tormentata religione, e ancora l’apertura verso il vero, la rappresentazione delle attitudine e degli affetti, come diceva Giorgio Vasari, il classicismo, il simbolismo e l’erotismo di quel secolo». Tutto questo si sostanzia in un percorso che parte con i ritratti dei coniugi Panciatichi di Agnolo Bronzino. Siamo nella sala del Bronzino meno noto — a parte queste due opere — con il bel Compianto sul Cristo Morto e con l’affollata rappresentazione dei Diecimila martiri . A sintetizzare quanto si vedrà nel prosieguo ci pensa la grande sala successiva, quella delle dinastie, con la celebrazione della famiglia Medici, sempre da parte dell’allievo del Pontormo, e della famiglia della Rovere che si imparentava coi signori di Firenze grazie al matrimonio tra Vittoria con Ferdinando II dei Medici. «Si deve a lei — ha ricordato Schmidt — la presenza qui a Firenze delle grandi collezioni marchigiane. Vittoria portò in città i grandi Tiziano e i grandi Raffaello, e in questa sala è celebrata nel Ritratto di Vittoria della Rovere in culla di Tiberio Titi che fa da contraltare a quello di Eleonora di Toledo , moglie di Cosimo I del Bronzino. Siamo di fonte a due grandi protagoniste del mecenatismo». La sala del Pilastro espone le grandi pale d’altare della Controriforma, con la Madonna del Popolo di Federico Barocci, al centro della narrazione. Due studioli sono dedicati uno al gusto per il classicismo (con Allori, Vasari e la bellissima Allegoria della Fortuna di Jacopo Ligozzi) e un altro di nuovo a soggetti della Controriforma (ancora Allori, Cambiaso e soprattutto la bellissima Caduta degli angeli ribelli , di Andrea Commodi fino a ora nei depositi). Poi, e si cambia colore per le basi su cui sono affisse le opere che da qui saranno verdi (i fiorentini poggiavano sul grigio scuro, mentre le grandi pale sul grigio chiaro, quasi una pietra) ecco l’apoteosi della scuola veneta. Coi Tiziano i Giorgione, i Lotto di Susanna e i Vecchioni e della Sacra famiglia . Una sala è dedicata a Tintoretto con la sua Leda e il cigno , tra le altre opere, e una al Veronese coi suoi soggetti sacri e mitologici. Mentre, interessante, è l’apertura della finestra sull’Arno, un tempo coperta da vetri spessi, della sala con La nuda del modernissimo Bernardino Licinio.
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