Firenze e lo stop del Consiglio di Stato. I possibli rimedi alla paralisi edilizia Renzo Manetti* Corriere Fiorentino 11/6/2019
* Renzo Manetti Architetto e presidente dell’Accademia del Disegno
Gentile direttore, l’ Italia ha un sistema normativo e legislativo farraginoso, spesso di difficile interpretazione, sempre difficile da applicare. Chi amministra la cosa pubblica, quando agisce col buon senso, rischia fatalmente di incappare nel reato di abuso d’ufficio.
In alcuni casi la magistratura giudicante dà infatti interpretazioni apparentemente illogiche di norme che appaiono chiare, rendendo il quadro ancora più ingarbugliato. Faccio due esempi che hanno condotto alla paralisi del recupero edilizio nel Comune di Firenze: il testo unico dell’edilizia (Dpr 380/2001) definiva il restauro come la serie di interventi «rivolti a conservare l’organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità mediante un insieme sistematico di opere che, nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell’organismo stesso, ne consentano destinazioni d’uso con essi compatibili» (art.3 lett.c); in seguito a una sentenza della magistratura penale che riteneva il cambio d’uso incompatibile col restauro, con la legge 96/2017 si modificava il testo per renderlo più chiaro anche ai magistrati: «... interventi edilizi... che... consentano anche il mutamento delle destinazioni d’uso purché con tali elementi compatibili, nonché conformi a quelle previste dallo strumento urbanistico generale e dai relativi piani attuativi».
La legge 164/2014 integrava il Dpr 380 precisando come un intervento di manutenzione straordinaria consentisse anche il frazionamento o l’accorpamento di unità immobiliari: «Nell’ambito degli interventi di manutenzione straordinaria sono ricompresi anche quelli consistenti nel frazionamento o accorpamento delle unità immobiliari con esecuzione di opere, anche se comportanti la variazione delle superfici delle singole unità immobiliari nonché del carico urbanistico, purché non sia modificata la volumetria complessiva degli edifici e si mantenga l’originaria destinazione d’uso» (art.3 lett.b).
Le due norme appaiono chiare: col restauro si possono modificare le destinazioni di un immobile con altre compatibili con le sue caratteristiche; con la manutenzione straordinaria si può effettuare il frazionamento di una unità immobiliare. E invece no. Per la magistratura quelle norme che ai nostri occhi appaiono chiarissime non sono sufficientemente esplicite.
La giurisprudenza penale ha infatti maturato e consolidato un orientamento, fatto proprio anche da quella amministrativa, che riconduce a ristrutturazione edilizia ogni intervento che comporti incremento di unità immobiliari o il cambio d’uso, modificando la distribuzione interna e inserendo nuovi impianti.
Dal momento che nessun frazionamento è possibile senza separare gli impianti o senza modificare la distribuzione interna, siamo in presenza di un’interpretazione che va oltre la stessa lettera della legge. Ma a Firenze le colpe sono anche del Comune, che ha approvato il Regolamento Urbanistico Comunale, il Ruc (quello che sostituisce il Piano Regolatore secondo la legge toscana), fatto apposta per creare equivoci. Il RucPapprovato proibiva infatti interventi che eccedessero il restauro in quello che si definisce tuttora come «tessuto storico e storicizzato prevalentemente seriale». Si tratta sostanzialmente di tutta la città consolidata, caratterizzata da isolati conclusi da strade perimetrali.
Ne conseguiva che ben il 42% del patrimonio edilizio comunale veniva vincolato a restauro. A seguito di una nota della Procura della Repubblica trasmessa al Comune nel 2017, che ricordava perentoriamente gli orientamenti giurisprudenziali in materia di cambio di destinazione e di frazionamenti, per evitare la paralisi degli interventi di recupero l’amministrazione decideva di modificare il tipo di intervento ammesso in queste parti di città individuando una nuova categoria, quella della ristrutturazione con limitazioni. Si consentivano così sia cambi di uso che frazionamenti, con restrizioni che tutelassero la tipologia e i caratteri dell’edificio. Italia Nostra presentava un ricorso al Tar contro la norma che riteneva troppo permissiva. Il Tar con sentenza 137/2019 accoglieva le controdeduzioni del Comune e respingeva il ricorso. E’ a questo punto che interviene l’ordinanza del Consiglio di Stato del 23 maggio 2019, con la quale si rinvia la decisione al Tar imponendone un approfondimento dei contenuti e nello stesso tempo sospendendo l’efficacia della variante stessa.
È da notare che uno dei motivi addotti per il rinvio sia la considerazione del «valore degli edifici che formano il tessuto urbano del centro storico, anche alla luce della disciplina protettiva e vincolistica di cui al D.lgs. n. 42 del 2004 (codice dei beni culturali) e di cui alla Convenzione Unesco del 2005, considerata anche la peculiarità della città di Firenze». In realtà il Patrimonio Mondiale Unesco è solo una parte minoritaria delle aree interessate dalla norma comunale.
Da quanto abbiamo detto emerge che il problema di fondo non sta solo nelle sentenze di una magistratura che sembra sostituirsi al potere legislativo del Parlamento, ma anche in una strumentazione urbanistica comunale inadeguata. Il precedente Prg di Firenze definiva infatti gli interventi secondo una classificazione del valore effettuata per singoli edifici; il nuovo Ruc adottava invece inspiegabilmente una classificazione per tessuti, all’interno dei quali non teneva sufficientemente conto della diversità del valore degli edifici.
Per intendersi, nei tessuti seriali sono stati inseriti molti edifici costruiti nel dopoguerra, privi di alcun valore, che appare davvero assurdo vincolare a restauro. Sarebbe opportuno pensare subito a una variante al Ruc che per gli edifici costruiti nel dopoguerra, inseriti nei tessuti storici o storicizzati, ammettesse interventi di ristrutturazione edilizia e non si limitasse al solo restauro.
Per edifici ad esempio degli anni ’60 del secolo scorso, privi di valore, che senso ha prescrivere il restauro? Andrebbero ovviamente esclusi gli edifici classificati come emergenze di valore storico architettonico o emergenze di interesse documentale del moderno, per i quali si dovrebbe mantenere l’intervento di restauro come massimo ammissibile. Va inoltre affidata subito una variante generale del Ruc, che disciplini gli interventi per edifici e non per tessuti. Che è quanto chiede ad esempio l’Ordine degli Architetti, fin dall’epoca di approvazione del Ruc e di recente riaffermato in un comunicato stampa: «Abbiamo sempre ribadito la necessità di una più dettagliata classificazione edilizia del patrimonio edilizio esistente. Classificazione che può consentire una differenziata articolazione della disciplina edilizia, adeguata alla condizione dei singoli edifici».
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