Firenze. Beni culturali e grandi musei. Un Appello al Ministro Paolo Ermini Corriere Fiorentino 14/6/2019
Questo è un appello. Un appello al ministro dei beni culturali sul caso dei grandi musei e della loro autonomia.
In un articolo comparso ieri sul Corriere Fiorentino , Chiara Dino ha spiegato come la bozza della nuova riforma, che è una vera e propria controriforma rispetto alla svolta voluta dall’ex ministro Franceschini, si ispiri al programma elettorale presentato dai Cinque stelle per le politiche dell’anno scorso. Un programma che nel campo delle istituzioni culturali prevedeva il ritorno a un sistema centralista. Come dire che Roma si riprenderebbe poteri che con Franceschini erano state distribuiti sul territorio. Giusto? Non giusto? Il primo problema non è rispondere a una domanda così, azzardando un giudizio più o meno politico. Innanzitutto vanno capiti i motivi di una scelta. Sull’orientamento generale del M5S è tutto chiaro da tempo: chi ha fatto di una piattaforma informatica il cuore della propria azione e lo strumento di orientamento e controllo dei militanti non può che essere nemico di ogni forma di reale autonomia. Ma quando si scende sul piano concreto della gestione dei grandi musei e della loro prospettiva, ci si trova invece di fronte a tanti, troppi, punti oscuri. E allora ci permettiamo di rivolgerci al ministro per porre un paio di questioni.
Prima di imboccare una strada precisa e stilare un documento così radicalmente orientato, non sarebbe stato ragionevole approfondire gli effetti della riforma in vigore, in tutti i suoi risvolti? I numeri non sono tutto, certo, ma non se ne può eludere il significato. I ricavi delle Gallerie degli Uffizi sono passati in quattro anni da 8 milioni e 226.064 euro a 18 milioni e 784.164; quelli dell’Accademia da 5 milioni 946.402 a 9 milioni 192.753; quelli del Bargello da 432.281 a 923.074. Con un’impennata anche dei visitatori. Come non tenerne conto? In ogni caso, e in questo consiste l’appello, perché il ministro non viene in città -agli Uffizi, all’Accademia, negli altri musei,, ma anche nelle sedi istituzionali- per affrontare il caso in tutta la sua complessità? Forse una visita sul campo potrebbe fornire a lui nuovi elementi di valutazione, sgombrando al tempo stesso il campo dal sospetto di decisioni prese con pregiudizio. Sullo sfondo un (falso) dilemma: è più utile fare battaglie di valore politico o considerare l’interesse vero di un museo, di una città intera e, magari, della cultura italiana nel suo complesso? |