Vigevano. Una nuova sede per arazzi e dipinti dello storico Tesoro del Duomo Chiara Vanzetto Corriere della Sera - Milano 11/7/2019
Per qualcuno è la piazza più bella d’Italia, di certo ai primi posti della classifica. È la quattrocentesca piazza Ducale di Vigevano, cuore della Lomellina, città che ha vissuto un’epoca d’oro nel Rinascimento, sotto il Ducato di Milano. Ma se piazza e adiacente castello sono più che noti, l’epoca rinascimentale ha lasciato qui altre tracce non altrettanto conosciute. Stiamo parlando degli splendidi manufatti del Tesoro del Duomo, facciata barocca che conclude su un lato la piazza stessa, Tesoro che nello scorso maggio ha trovato nuova sede e nuova veste a pochi passi dalla piazza, nell’ex palazzo vescovile. «Allestito negli anni Settanta, il vecchio museo era angusto, vi si poteva accedere soltanto tramite uno scalone, la collezione era penalizzata in due sole sale», spiega il conservatore Nicoletta Sanna. «Oggi è distribuito su due piani, tredici sale, apparati multimediali e ascensore: così l’ha voluto il Vescovo Monsignor Maurizio Gervasoni, un polo culturale accessibile a tutti».
E perché Vigevano custodisce un tesoro? Torniamo indietro, anno 1529, quando Francesco II Sforza, figlio di Ludovico il Moro, riesce a riavere il Ducato di Milano strappato al padre. Nato proprio a Vigevano, dove gli Sforza tenevano corte, un anno dopo ottiene anche dal Papa che la sua città diventi sede vescovile: per esserne degna, però, Vigevano deve avere una nuova Cattedrale, con adeguato corredo per le cerimonie sacre. Così nel 1534 alla neonata diocesi arriva un dono munifico: un forziere, ancora conservato in museo, che contiene splendide suppellettili per il nuovo Duomo, che nel frattempo è in via di costruzione sulla chiesa precedente di sant’Ambrogio. Molte di quelle meraviglie dell’oreficeria rinascimentale sono ancora qui. Come il pastorale scolpito in dente di narvalo, la croce astile, le coppe e soprattutto la «Pace», ricco oggetto liturgico di scuola lombarda del Cinquecento: costruito in lastra d’argento sbalzato e dorato in forma di tempietto, presenta sul fronte una «Pietà» ad altorilievo incorniciata da colonnine e innumerevoli decori.
Nel corredo donato da Francesco figuravano anche una ventina di arazzi di cui restano sette pezzi, freschi di restauro: chiamati «Serie blu» per il colore dominante, intessuti in lana e seta, sono raffinati prodotti di manifattura brussellese del 1520 circa. Poi un piccolo capolavoro di ebanisteria, il modellino ligneo che l’architetto Antonello da Lonate, attivo qui e al Duomo di Milano, presentò a Francesco come progetto per la nuova cattedrale. E alcuni splendidi codici in pergamena firmati dal miniatore Giovanni Gerolamo Decio, attivo alla corte sforzesca milanese, vicino nello stile a Luini e Bramantino: databile al 1530 circa il suo Messale, che contiene tra l’altro una preziosa «Crocifissione» istoriata a piena pagina con uso di porpora e oro. Tra dipinti, sculture e artigianato artistico anche una curiosità: i paramenti sacri settecenteschi indossati da Papa Pio VII nel 1805, nel Duomo di Monza, per incoronare Napoleone Bonaparte re d’Italia. |