«La città non può perdere l'occasione per rilanciarsi» Alberto Rossi - Elio De Anna 24 luglio 2019 il messagero veneto
Sarebbe un peccato se in occasione della prossima mostra del Pordenone lo studiolo del pittore non fosse fruibile al pubblico. Con una decisione molto avveduta la Fondazione Friuli ha acquisito parte dell'edificio, anche se i vani che ospitano gli affreschi dell'artista, scoperti dal maestro Giancarlo Magri nel 1989 e situati al secondo piano di un palazzetto di via San Marco a ridosso del duomo e delle vecchie mura della città, sono ora proprietà di privati. È una storia lunga quella dello studiolo del grande pittore. Nel 1997-'98, dopo il decreto di vincolo del fabbricato apposto dal ministero per i Beni culturali e ambientali nel 1990, grazie all'interessamento dell'allora assessore provinciale alla cultura Gianni Cignacco, fu predisposto da parte della Provincia un progetto per l'acquisizione e il restauro del complesso edilizio, con l'obiettivo di salvaguardare la "Casa dell'artista" e dotare la città di un luogo che doveva assumere la funzione di "centro di documentazione e informazione". L'allora assessore regionale Gianfranco Moretton, con il supporto dell'omologo provinciale Sergio Peressutti, credette nella bontà del progetto e assecondò il suo finanziamento con un contributo di due miliardi di lire. La vicenda si protrasse nella successiva tornata amministrativa e concordammo, pur da posizioni politiche contrapposte, vista la netta contrarietà della famiglia proprietaria cui quel luogo rappresentava un riferimento affettivo molto profondo, di non procedere con il progetto, redatto dall'amministrazione provinciale nel gennaio 2001, che avrebbe dato adito a possibili contenziosi. L'accordo fu reso possibile poiché il privato si era impegnato a recuperare personalmente l'edificio di sua pertinenza e a condividere la possibilità di una fruizione pubblica del sito, in tempi e orari concordati. Alla vigilia della grande mostra di Giovanni Antonio, però, dalle notizie raccolte, sembrerebbe difficile questa prospettiva. Pordenone è estremamente povera di luoghi della memoria, quei luoghi ove grandi artisti del passato non hanno soltanto abitato, ma hanno concepito, programmato e talvolta realizzato le loro opere e che permettono alle persone, oggi, di ritrovare la propria identità e il senso di un'appartenenza. Molti di questi sono stati abbattuti nel periodo del grande sviluppo industriale, altri si vorrebbero ancora oggi mutilare, come le mura della calle degli Andadori che proprio da sotto il palazzetto del Pordenone prende avvio.Quello che il critico d'arte Fabrizio D'Amico definì «un gigante tumultuoso (e forse assassinato)», commentando la mostra organizzata nel 1984, «destinato dalla sua stessa grandezza a scendere in Padania e lì a preparare il terzo e quarto decennio del Cinquecento», dovrebbe essere il filo conduttore attraverso il quale la nostra città esce dal suo guscio locale per stringere rapporti con le altre città dove sono custodite le opere del Pordenone. Un filo storico e culturale per riscoprire noi stessi, le nostre radici e forse il senso del nostro futuro. La mostra che si sta realizzando con il tenace impegno dell'assessore Tropeano, può essere un'occasione propizia per dare avvio a una nuova stagione di rilancio della città. Non perdiamo questa opportunità in giochetti o polemiche di corto respiro.
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