Le accuse di Schmidt al centralismo sul «Financial Times»: «L’Italia un caso unico» Chiara Dino Corriere Fiorentino 24/8/2019
Il direttore degli Uffizi e il suo futuro: il mio tempo qui si sta esaurendo
Così amaro, da quando è arrivato alla guida degli Uffizi a Firenze, Eike Schmidt non era stato. E non è detto, che non ci sia tempo per ripensarci. Però il dato di fatto è che in un’intervista pubblicata ieri dal Financial Times, che ha mandato una sua inviata (non sappiamo quando visto che in questi giorni Schmidt è in ferie ma sicuramente dopo la Riforma Bonisoli), per cercare di dipanare la matassa della nostra politica sui Beni culturali, ha detto: «Io adoro questo posto (gli Uffizi e Firenze ndr). Ma il mio tempo qui si sta esaurendo o si è esaurito». Troppa l’incertezza politica, troppo brusco il dietrofront della controriforma del Governo giallo-verde che ha mandato in soffitta l’autonomia dei musei voluta da Dario Franceschini ministro dei Beni culturali dei Governi Renzi e Gentiloni, con l’ultimo atto del 16 agosto che, abolendo i consigli di amministrazione dei musei autonomi, ha di fatto impedito loro di approvare i bilanci in loco. Troppi cambi di indirizzo politico nella gestione della cultura in Italia.
Roba non da poco, insieme a molto altro: il ritorno delle decisioni sui lavori — anche di manutenzione — alle soprintendenze, un maggiore controllo su prestiti e politiche culturali da parte di Roma e da parte dei comitati scientifici dei singoli musei — solo per fare degli esempi. La situazione è ancora fluida e il suo eventuale addio a Firenze dipenderà dalle prossime mosse politiche a Roma — che Governo verrà e come guarderà al tema della riforma dei musei — ma sull’oggi il direttore degli Uffizi, appena subentrato alla guida della Galleria dell’Accademia e del Museo di San Marco sempre in forza della nuova riorganizzazione Bonisoli, è tranchant: «Non credo che ci sia un Paese nel mondo libero e occidentale con un politica culturale così centralizzata come ora in Italia».
La collega inglese che lo ha incontrato — Rachel Sanderson — scrive testualmente nel suo lungo articolo, in cui parlano vari protagonisti della cultura italiana che, dopo aver insistito con Schmidt nel chiedergli un paragone tra la nostra politica culturale e quella di un altro Paese, lui abbia citato «l’Arabia Saudita». Precisando poi che quello che più spiazza i direttori come lui — nel lungo reportage parlano anche James Bradburne di Brera e Arturo Galansino al vertice di Palazzo Strozzi qui a Firenze — è il continuo mutare delle regole, il costante ciclo di riforme che caratterizza la gestione dei Beni culturali in Italia. Pensiero condiviso anche dagli altri protagonisti di questo lungo articolo che il giornale economico più prestigioso del Regno Unito ha dedicato ai nostri musei.
Il ministero dei beni Culturali, probabilmente anche per rispondere alla versione del Financial Times, ieri ha inviato una lunga nota nella quale chiarisce che le cose stanno diversamente e che: «Resta l’autonomia speciale dei più importanti istituti statali. Il vertice della struttura rimane il Direttore del Museo, di norma scelto tramite procedura internazionale. Con la nuova disciplina, il museo mantiene inalterata la capacità gestionale e finanziaria» E ancora: «I limiti di spesa non mutano. I musei autonomi possono continuare a indire gare d’appalto e stipulare contratti e portare a termine i contratti in essere. I direttori hanno il compito di predisporre il bilancio di previsione, dell’eventuale variazione e del conto consuntivo, previa acquisizione della relazione del Collegio dei revisori dei conti. L’approvazione dei documenti contabili, infine, continua ad avvenire a cura della Direzione Generale Musei, su parere conforme della Direzione generale Bilancio». Subito dopo però conferma: «I Consigli di amministrazione che non hanno mai avuto le funzioni e le responsabilità tipiche di tali organi decadranno dal 1 ottobre 2019».
Non convince tutti se è vero che Lorenzo Casini, professore ordinario di diritto amministrativo nella Scuola Imt Alti Studi di Lucca e membro del consiglio di amministrazione delle Gallerie degli Uffizi, interpellato anche lui dal Financial Times ha parlato di una «controriforma — quella di Bonisoli che ha azzerato il testo sull’autonomia — che prevede di restituire il controllo a Roma» definendola «un male in termini di immagine del paese».
È il modello Franceschini contro quello Bonisoli, insomma, a interessare e incuriosire il giornale d’oltre Manica che snocciola i dati portati a casa da Schmidt (abbattimento del tempo d’attesa in coda a sette minuti grazie all’intelligenza artificiale, quota 4 milioni e 200 mila visitatori nel 2018, raddoppio dei ricavi, sempre nello scorso anno, rispetto al 2017, che sono arrivati a 34 milioni di euro). E sposa la causa dei musei autonomi, senza se e senza ma, aggiungendo che con la gestione attuale la galleria fiorentina è arrivata a contenere anche 100 nazionalità contemporaneamente in un solo giorno. Agli Uffizi tutto tace. Schmidt non manda a dire niente, dal suo entourage arriva solo una nota in cui si specifica che agli Uffizi non è stato chiesto il prestito dell’Autoritratto di Raffaello, dei ritratti di Agnolo e Maddalena Doni e della Madonna del Cardellino da parte delle Scuderie del Quirinale per la mostra dedicata a Raffaello in programma il prossimo anno, come avevamo scritto sul giornale di ieri e come aveva scritto anche il Giornale dell’Arte . Per il resto nessun commento. Restano le parole di Schmidt riportate dal Financial Times che si definisce oggi «più pessimista» di prima rispetto al futuro dei nostri musei, supportato da Bradburne — qui a Firenze ha guidato Palazzo Strozzi prima di andare a Brera — che ha definito la «controriforma un ritorno a una gestione sovietica del sistema museale italiano e questo sebbene anche in Unione Sovietica abbiamo appreso che il controllo centralizzato non funziona». Non solo: ha fatto capire che le proposte stanno già avendo un effetto negativo sulla raccolta fondi, sugli eventi e su qualsiasi altra cosa che richiede pianificazione, perché i colpi di scena della politica italiana sono così imprevedibili. Per poi concludere: «È una catastrofe di prim’ordine». Anche se per Bonisoli si è trattato di salvare i musei dall’«anarchia».
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