Padernello, il castello rinasce per la “coesione sociale” di Tomaso Montanari IL FATTO QUOTIDIANO | 16 Settembre 2019
Brescia, il miracolo nella Bassa Il maniero del Trecento è stato salvato dalla rovina: acquistato dal Comune e fatto rivivere da una Fondazione
Salvatico è quel che si salva”. Il celebre gioco di parole di Leonardo svela una verità mai tanto centrale quanto nell’Italia di oggi: in tutti i campi (dalla politica alla cultura, dalla gastronomia alla vita sociale) ciò che salva cresce lontanissimo dal mainstream, dalle dirette tv, dalla ribalta dei social. Sono i luoghi minori, fuori dai circuiti, difficili da raggiungere e poco, o per nulla, celebrati quelli in cui è possibile ritrovare se stessi, e dare un senso al proprio percorso. Luoghi dove si riattiva il circuito vitale, e carico di futuro, tra le pietre storiche del nostro patrimonio culturale e un popolo in cerca di qualcosa in cui sperare. Se volete un esempio – se volete entrare in un esempio – andate al Castello di Padernello, nella Bassa tra Brescia e Cremona. È uno spettacolare maniero del tardo Trecento, grande da avere oltre cento stanze e ancora circondato dal suo fossato, con tanto di ponte levatoio funzionante. Fondato e abitato dai Martinengo, passo nell’Ottocento ai Salvadego che lo abitarono fino al 1965 (quando già da tempo era stato vincolato e dichiarato monumento nazionale): da allora iniziò, con l’abbandono e la cessazione della manutenzione, una lenta decadenza. Nel 2002 si raggiunse il punto più basso: il crollo di parte della mura esterne e del tetto fece capire che si era a un bivio fatale. E, contrariamente a quanto accade nella maggior parte dei casi nell’Italia di oggi, si ebbe la forza e la lungimiranza di scegliere la strada più difficile e impegnativa: quella del riscatto. IL 31 MAGGIO 2005 il Castello uscì dall’asse proprietario di origine feudale che l’aveva posseduto per oltre sei secoli, e iniziò a diventare un bene comune: un passo tutt’altro che ovvio – anzi, quasi profetico – in un’Italia in cui contemporaneamente lo Stato svende ai privati parti anche assai pregiate del suo patrimonio demaniale. Padernello fu acquistato dal Comune di Borgo San Giacomo per il 51% e per il 49% da privati: e si scelse di costituire una fondazione di partecipazione ‘Castello di Padernello’, senza scopo di lucro, che portasse “il Castello e il borgo, ad essere un centro vitale, culturale, di storia e d’arte, inserendosi in un contesto più ampio di recupero di valori fondanti sull’educazione alla salvaguardia del patrimonio culturale per concorrere a rendere più stretto il rapporto tra la storia del territorio ed il suo futuro”. Successivamente, la quota dei privati si è ridotta al 22%, e la restante quota è ora della stessa Fondazione Castello di Padernello (16%), della Banca del Territorio Lombardo ex Bcc Pompiano e Franciacorta (10%) e della Fondazione Cogeme Onlus (1%). Tutte le proprietà hanno concesso in comodato d’uso gratuito trentennale l’immobile alla Fondazione, che sta esemplarmente restaurando e recuperando la struttura architettonica (e non solo: nella soffitta è stato, per esempio, rinvenuto uno strepitoso archivio familiare, le cui filze e pergamene giacevano in stato pietoso, e che oggi invece sono restaurate e catalogate) e curando la rivitalizzazione culturale del monumento. Quando il presidente della Fondazione, Domenico Pedroni, ti guarda con il suo sorriso sereno e concreto e ti dice che, in pratica, lo scopo della Fondazione è produrre “coesione sociale”, capisci perché è stata inclusa nell’Archivio della Generatività sociale, che raccoglie e segnala le “storie dell’Italia che costruisce un futuro sostenibile e contributivo”. In questi 14 anni il lavoro – tutto volontario: e fondato sul volontariato vero, non sullo sfruttamento di giovani professionisti disperati, come spesso accade – della Fondazione ha riannodato i fili tra la comunità e il castello, puntando su una capillare cura del territorio, culminata, per esempio, nell’a ccoglienza delle straordinarie opere botaniche dell’artista Giuliano Mauri. Ma non c’è solo l’arte: la Fondazione sta avviando la creazione di un centro di competenza sull'economia circolare come nodo di raccolta e diffusione delle documentazioni e delle buone pratiche di economia circolare e di una impresa sociale per il recupero, restauro e riutilizzo, biciclette, radio e altri materiali, che diventi una nuova opportunità lavorativa. Anche in questo Padernello è “salvatico”: mentre i celeberrimi musei nazionali – su cui torna a stendersi l’ombra del grande mercificatore Dario Franceschini –si trasformano in outlet di un lusso esclusivo dal sapore neofeduale, questo meraviglioso castello medioevale perso nel nulla lavora per una svolta inclusiva che costruisca una modernità giusta e sostenibile. IN QUALCHE modo, forse era destino: dal Settecento le sale del Castello ospitavano quel Ciclo di Padernello che è il più strepitoso complesso di tele di Giacomo Ceruti, un gigante (di statura europea) della pittura lombarda della realtà che ha dedicato tutta la sua vita a raffigurare i poveri, i marginali, i diversi. Ci si può chiedere perché i ricchi e privilegiati proprietari di Padernello si circondassero di quelle pitture sconvolgenti: oggi, tuttavia, la loro pressante richiesta di ascolto è stata infine accolta. E il “loro” castello è diventato un incubatore di giustizia, ambientale e sociale. Un castello che salva: perché salvatico.
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