Capri e l’area marina protetta dimenticata Francesco Canessa Corriere del Mezzogiorno - Campania 15/12/2019
Fumata nera per l’Area Marina Protetta di Capri. Come già è stato nel 1997 quando fu messa in sicurezza la Punta della Campanella, sull’altra sponda della «Bocca piccola» tre miglia ad est dei Faraglioni, insieme a due Aree in Cilento, Costa degli Infreschi e Masseta.
E nel 2002 quando vi si aggiunsero quelle dei due Parchi sommersi di Baia e della Gaiola. E rimase esclusa anche nel 2007 quando fu Ischia o almeno una parte di essa a far parte con Vivara e uno spicchio di Procida della sesta Area Marina Protetta della Campania, denominata Regno di Nettuno. Quali i motivi? Diversi e qualcuno neanche nobile.
Frugando nel mio archivio, trovo che il primo articolo di denuncia dell’assurdità di tale omissione lo scrissi più di cinque anni fa, il 30 maggio 2014. Vi citavo ampi stralci del rapporto di un autorevole studioso, l’esperto subacqueo Vasco Fronzoni , pubblicato nel volume «Per L’Isola» edito l’anno precedente dalla Conchiglia. Il crescere del traffico dei diportisti verso i Faraglioni, la Baia di Mulo o Cala Ventroso, meraviglie naturalistiche offerte senza le limitazioni imposte ad altre rade, avevano già portato conseguenze disastrose. Gli scarichi di carburante, gli ancoraggi selvaggi e altri inquinamenti avevano già stravolto il gioiello più prezioso del patrimonio naturalistico caprese, il più famoso, il più invidiato: il mare, coi suoi fondali martoriati e la biodiversità sconvolta. Lo studioso dava un allarme urgente descrivendo e documentando le praterie di posidonia distrutte, le alghe diatomee morte, l’infestante caulerpa, la scomparsa dei Ricci di mare, dei tipici Guarracini e altre storiche specie, compensate dalla presenza di branchi di barracuda tropicali, arrivati a dar man forte ai più miti Sphyraena viridensis locali.
In cinque anni, mentre il problema cresceva in dimensioni ed effetti, fino a determinare una vera e propria crisi ambientale, non c’è stato né fumo bianco né fumo nero, essendo passato dal sonno al coma l’iter avviato d’ufficio nel ’97 insieme agli altri e risultando problematico intraprenderne uno nuovo. E prendeva forma il sospetto che tra i Comuni dell’Isola vi fosse chi preferiva attenersi al sempre valido «quieta non movere ». Qualcosa si è mosso però di recente, anche energicamente, per la pressione delle associazioni ambientaliste e la presa di coscienza nei nuovi amministratori. C’era un certo ottimismo, per la persona del Ministro competente, campano e vicino già di suo ai problemi dell’ambiente.
L’iter per la istituzione di un’Area Marina Protetta è complesso. L’istruttoria da parte del Ministero dell’Ambiente, sezione Tutela del Territorio e del Mare, si apre con l’indicazione di quella che in burocratese viene definita «aria marina di reperimento», che diverrà poi «protetta» quando saranno fatti tutti gli accertamenti geografici, scientifici, amministrativi etc. Vi si provvede con decreto del ministro, legato però a una specifica copertura finanziaria. È quella che prevedeva l’emendamento alla Finanziaria, la cui soppressione da parte della Commissione Bilancio del Senato ha provocato il fumo nero citato in apertura. Ma farà bene a non perdersi d’animo, come promette, l’assessore Paola Mazzina, che ha competenza sull’argomento per delega del Sindaco di Capri . Perché sul sito del Ministero è posta in bella mostra una cartina in cui sono indicate le Aree Marine di prossima istituzione «qualunque sia lo stato di avanzamento del previsto iter amministrativo». Sono 17 e fra esse c’è anche l’Isola di Capri.
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