Il futuro della scuola, un esame per ripartire Valerio Vagnoli Corriere Fiorentino 22/12/2019
Si sa che la scuola da tempo non riesce più a essere quello che vorremmo: un punto fermo nella costruzione del futuro dei nostri figli e della nostra identità nazionale.
Anche i noti e recenti dati dell’indagine Ocse-Pisa hanno confermato ciò che dicono da anni, e cioè che i nostri ragazzi sono davvero messi male e in particolare che la capacità di comprendere ciò che leggono sta inesorabilmente naufragando e spesso non riescono neppure a leggere bene ad alta voce. Non occorre essere profeti (basta il buon senso) per renderci conto che le cose continueranno a peggiorare in assenza di decisi interventi nella direzione giusta. Perché quando a mancare ai nostri quindicenni è la preparazione di base, significa che a fallire è anche la nostra scuola di base. Eppure quella che un tempo si chiamava «elementare» aveva contribuito fino a qualche decennio fa a dare conoscenze e competenze fondamentali davvero straordinarie, omogenee e diffuse su tutto il territorio nazionale. E non a caso, soprattutto dopo la seconda guerra mondiale, gli italiani si riconobbero finalmente in una Patria comune, perché comune era diventata la loro lingua e la loro cultura di base, proprio grazie alla scuola elementare. Alla base del successo di quella scuola c’erano innanzitutto maestre e maestri che erano figure di grande importanza nelle comunità in cui operavano e sapevano che era irrinunciabile raggiungere gli obiettivi stabiliti dai programmi. Tanto più che alla fine della seconda e della quinta classe sarebbero stati verificati e giudicati da colleghe e colleghi che avrebbero esaminato i loro allievi e, di conseguenza, il loro lavoro. E c’erano inoltre famiglie che dalla scuola si attendevano quello che a molti di loro non era stato concesso; e cioè che almeno i loro figli sapessero leggere e scrivere e fare i conti, magari per poter controllare che il bottegaio o il padrone non si approfittassero della loro ignoranza. Fu quella una grande scuola a tal punto da primeggiare per anni e anni a livello internazionale. C’è da chiedersi, tra l’altro, quanto abbia influito il fatto di togliere il maestro, pardon, la maestra unica affidando le classi, come avviene da qualche decennio, a una girandola di docenti spesso costretti a perdersi dietro progetti, attività multidisciplinari, progettazioni a breve, medio e lungo termine fatte spesso, come le norme stesse richiedono, specialmente di chiacchiere e burocrazia. È facile, così, perdere di vista gli obiettivi fondamentali di una scuola di base. Nel 2017 oltre 700 docenti universitari avevano spiegato, in un appello «contro il declino dell’italiano a scuola», in quali condizioni arrivassero molte matricole. E chiedevano «una scuola davvero esigente nel controllo degli apprendimenti, con l’introduzione di verifiche nazionali periodiche durante gli 8 anni del primo ciclo», tra cui il dettato ortografico e il riassunto. C’è stata solo qualche modifica all’esame di terza media e niente per quella primaria, peraltro privata da anni di qualsiasi esame. Non si potrebbe ricominciare da qui? |