Torino. In pensione l’archivista delle Teche Rai Barbara Notaro Dietrich Corriere della Sera - Torino 7/1/2020
«Lascio un vero patrimonio»
Roberto Rossetto ha digitalizzato 4 milioni di ore di materiale
Esistono due tipi di pensionati. Quelli che non si rassegnano e a cui pare aver perso l’identità e quelli che chiudono la porta di una casa, che è stata anche accogliente e che hanno contribuito a costruire e rendere più stabile e sicura, e ne aprono una sul futuro, con l’entusiasmo dei vent’anni. Roberto Rossetto appartiene alla seconda categoria. Dopo 40 anni di onorata carriera in Rai, smessi i panni dell’uomo delle teche, da gennaio indosserà quelli di vignaiolo. Rossetto è entrato in Rai come informatico. Gli chiesero di andare a spostare tutti i giornalisti a Saxa Rubra, un progetto complicato, ma che andò molto bene e così: «Mi fecero scegliere dove volevo andare e io risposi all’archivio».
Che era una sorta di caienna alla’epoca…
«Sì, ma io avevo questa cosa in testa, ovvero portare l’archivio all’utente e non viceversa. Nel ‘96 si fece la direzione Teche con Barbara Scaramucci. Eravamo in tre. Ora le persone interne sono circa quaranta, a Torino la parte tecnica (informatici per lo più) a Roma la parte documentativa e il rapporto che c’è tra i due gruppi è la parte più bella di questo lavoro».
Che cos’è stato fatto?
«Abbiamo digitalizzato decine e decine di migliaia di ore ma ancora poche rispetto al tutto. Siamo partiti, nel 98 - ancora non c’era la digitalizzazione ad alta qualità - a digitalizzare tutto il materiale che veniva messo in onda, più una serie di materiali che venivano rimessi a disposizione dell’azienda. Ora siamo intono a 4 milioni e 100 mila ore (2 video e 2 e 100 audio) e in questo siamo incontrastati leader a livello mondiale: la BBC, per dire, è al 50 per cento di quel che abbiamo noi. Il nostro catalogo cresce di 240 mila ore l’anno, 5 mila documenti al giorno ed è a disposizione in tutte le sedi Rai d’Italia. A Torino ce ne sono 10 per un’utenza di 3000 persone all’anno ma abbiamo oltre 9 milioni di query al mese».
Da fuori che cosa è visibile su Teche?
«Gli approfondimenti, tipo quello sulla canzone popolare (ne abbiamo circa 4200) con tutta una serie di documentari a corredo sul folklore, oppure tutto il teatro alla radio degli anni 40 e 50 o “Viaggio in Italia” di Piovene e tantissimi altri fondi. Su Raiplay la visione è invece più di carattere generalista».
Lo scorso anno le han fatto un bello scherzo..
«Eravamo alla conferenza che assegna l’Oscar mondiale per il media management di un archivio. Noi avevamo sviluppato un sistema per rendere fruibili i materiali grezzi delle redazioni giornalistiche: questo materiale non è documentato però è importante dato che per il montato si utilizza circa 10 per cento del girato. Non avendo metadati a disposizione, uno dei possibili percorsi è quello di legare il girato ai materiali che vanno in onda attraverso l’immagine stessa e correlare quindi le immagini simili attraverso algoritmi di similitudine. Sembra facile ma è complicato. Per ora lo abbiamo in test, proprio qui a Torino con Tg Leonardo (non ancora in produzione) e funziona».
Si diceva dello scherzo…
«Mi avevano fatto capire che non avevamo vinto anche Maria Pia Ammirati, direttore Rai Teche. E infatti alla serata della premiazione ero furente, non solo per il tantissimo lavoro fatto in due anni, anche con ragazzi giovani del Politecnico, ma perché rispetto agli altri non c’era paragone. Poi han avuto pietà e mi han detto che avevamo vinto».
La soddisfazione maggiore?
«Aver fatto capire all’azienda l’importanza della digitalizzazione dei materiali».
Rimpianti?
«Non aver chiuso la digitalizzazione delle pellicole che è il vero patrimonio della Rai: abbiamo centinaia e centinaia di titoli che andrebbero salvaguardati, così come le inchieste, e poi, quel che è libero da diritti, messo a disposizione di tutti sul web. Perché siamo servizio pubblico».
E ora?
«Farò il mio vino, mettendo a frutto i terreni di mio suocero nel Monferrato, aiutando mio figlio che già ci lavora. Stiamo finendo di costruire la cantina e a febbraio la potatura».
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