Firenze. L’Accademia resta senz’aria Marzio Fatucchi Corriere Fiorentino 4/2/2020
La decisione dopo la relazione in vista del bando per i nuovi condizionatori. I sindacati: cosa abbiamo respirato?
Rischio tossicità, impianto spento nella galleria del David. I timori per l’estate
Impianti di condizionamento spenti da giorni all’Accademia. La decisione è stata presa pochi giorni fa dopo che sul tavolo di Eike Schmidt, direttore della Galleria ancora per qualche giorno, è arrivata una relazione interna sullo stato dell’impianto: nell’aria c’è il rischio di dispersione di fibre di lana di vetro, potenzialmente tossiche. Impianto chiuso, via a lavori di somma urgenza: ma il cambio dell’impianto, già previsto, non arriverà prima dell’autunno, con il rischio di condizioni pesanti d’estate per visitatori e lavoratori.
«Rischio dispersione di fibre di lana di vetro». Suona così la motivazione, contenuta in una relazione interna consegnata il 23 gennaio scorso, che ha portato alla chiusura dell’impianto di areazione della Galleria dell’Accademia. Così il rischio non c’è più, ma in passato? Saranno le autorità competenti a stabilirlo. L’unica certezza è che, nonostante la corsa per fare i bandi di appalto per il nuovo impianto, tra tempi burocratici e problemi tecnici, l’impianto nuovo non arriverà presto. Sarà una lunga estate calda, per i visitatori della Galleria. E per i lavoratori.
C’è un’aria pesante, sotto al David. In senso letterale: odore di umanità accanto ai «prigionieri» e sotto l’opera simbolo di Michelangelo. Afrore nella sala dei gessi. La chiusura dell’impianto è stato un passo obbligato, vista la relazione. Lo studio delle condizioni della struttura dei condizionatori era un passaggio in vista dei bandi di gara per la sostituzione dell’impianto, annunciato — insieme ad importanti lavori alle capriate — dall’allora direttrice Cecilie Hollberg nel giugno dell’anno scorso. Poco dopo, l’ex ministro dei Beni culturali Bonisoli rimosse la Hollberg, passando la competenza al direttore degli Uffizi Eike Schmidt.
I lavori preparatori sono andati avanti. Il progetto esecutivo per i nuovi impianti è pronto. Prima di lanciare il bando per i lavori, la direttrice dell’ufficio tecnico, l’architetta Carlotta Matta, ha chiesto una verifica dell’impianto attuale, su disposizione dello stesso Schmidt. Il risultato delle sonde è stato chiaro: le fibre di lana di vetro potenzialmente possono finire nell’aria. La decisione conseguente è stata trasmettere la relazione alle autorità competenti e chiudere l’impianto per annullare il rischio per la salute. Ma, anche se è partita la procedura per i lavori di somma urgenza, sarà praticamente impossibile avere il nuovo impianto prima dell’estate. Forse, arriverà in autunno. E basta ricordare il 2016, quando l’impianto si ruppe, o l’estate del 2018 per avere il ragionevole dubbio che sarà necessario ridurre la capienza massima nelle giornate più calde per evitare una situazione insostenibile come allora, tra svenimenti e difficoltà dei lavoratori. Sono proprio state le Rsu ed i sindacati confederali della Fp e Filcams Cgil, a chiedere spiegazioni a Schmidt, con una lettera aperta a tutti i dipendenti: «Considerare l’edificio in perfetta sicurezza perché l’impianto è stato arrestato, non tranquillizza il personale su cosa e quanto abbia potuto respirare mentre l’impianto era funzionante».
La palla ritorna ora alla Hollberg, che sarà reinsediata a breve dal nuovo ministro Dario Franceschini. Ma come è possibile che il secondo museo d’Italia si trovi in questa condizione? Per anni di incuria: i primi rilievi e segnalazioni da parte dei sindacati sono stati nel 2010 e nel 2011. L’autonomia data alla Galleria doveva accelerare i lavori, principale obiettivo della Hollberg, arrivata nel 2015. Ma era un dedalo, tra mancanza di certificazioni (persino antincendio), di personale con le qualifiche corrette (solo nel 2018 è arrivata l’architetta Matta) e cantieri intrecciati. Per poter partire, la Hollberg chiamò un esperto tecnico-amministrativo dei Beni culturali, l’ingegnere Gennaro Miccio, nel 2019, perché Matta non «aveva l’anzianità» per poter firmare alcune pratiche. E fino al 2016, manco si potevano avviare l’operazione della progettazione per lo stesso motivo: l’aria stantia della gestione dei beni culturali italiani.
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