Bergamo. Mai, la memoria della città Daniela Morandi Corriere della Sera - Bergamo 16/2/2020
Un’istituzione cittadina sin dalle sue origini settecentesche. Entrando alla Mai ci si sente investiti da riverenza, per il suo palazzo monumentale e per la storia e il patrimonio che conserva e valorizza: oltre 730 mila libri editi dopo il Seicento, 12 mila periodici, 2.500 incunaboli a stampa a caratteri mobili di fine Quattrocento, 12.500 cinquecentine, per citare alcuni numeri. La Mai è «La biblioteca della città»: è il titolo del volume, con più autori, che sarà presentato martedì alle 18 nel salone Furietti, con Isabella Fiorentini, direttrice dell’Archivio storico civico e Biblioteca Trivulziana di Milano, e Claudio Gamba, dirigente della Struttura Istituti e Luoghi della cultura della Regione Lombardia. Edito da Lubrina e realizzato grazie all’Associazione Amici della Biblioteca Mai e al Rotary Club Bergamo Città Alta, con il contributo del Comune e della Fondazione della Comunità Bergamasca, il libro racconta il ruolo sociale e culturale della biblioteca. Da un gioco enigmistico-culturale con la sua direttrice Maria Elisabetta Manca, ne è emerso l’acrostico Memoria, Archivi, Inediti, fili conduttori per ordinare la storia di questo luogo, da subito deputato alla conservazione della «memoria municipale».
Nata dal lascito del cardinale Giuseppe Alessandro Furietti, che nel testamento del 1760 dispose di donare la propria biblioteca alla città, con l’obbligo che fosse di uso pubblico, la Mai è portatrice di memoria a partire dagli edifici civici in cui fu ospitata: nel 1771 fu aperta nell’attuale Palazzo Nuovo, dove restò sino al 1797. Poi fu trasferita nella canonica del Duomo sino al 1843, nel Palazzo della Ragione sino al 1927 e stabilita definitivamente nel Palazzo Nuovo dal 1928. È sede della memoria della città, in quanto «nata dall’azione corale di un nutrito gruppo di intellettuali che, in un clima di fervore per gli studi storici, riscopriva la storia della città a partire dalle fonti e dagli archivi, conservati in questa biblioteca». La convivenza tra biblioteca e archivi è una delle peculiarità della Mai, che conserva quelli storici del Comune, della Misericordia Maggiore, contenenti anche le lettere di Lorenzo Lotto, «quello della Camera dei confini, ricco di mappe e disegni che definiscono i limiti tra Stato veneto e quello di Milano — illustra Manca —. Tra gli archivi anche la collezione delle pergamene, tra cui il Testamento di Taidone del 774 o il diploma imperiale di Federico Barbarossa».
L’elenco prosegue tra gli archivi degli orfanatrofi, del consorzio dei carcerati, di conventi come quello di Astino e i 72 archivi privati di grandi famiglie, con storie patrimoniali e sociali. Tra i fondi di rilievo quelli sul Risorgimento: l’archivio Camozzi Danieli, che contiene le carte di Gabriele Camozzi, l’attività politica di Giuseppe Gamba, che ebbe rapporti stretti con la famiglia Camozzi, il fondo dello statista Silvio Spaventa, gli archivi delle famiglie Albani, Martinengo–Colleoni, Suardo, Terzi, Vimercati–Sozzi, Quarenghi, con la raccolta di disegni. Quelli degli architetti Muzio, Angelini e Pizzigoni. «Non solo ci restituiscono le vicende storiche e patrimoniali di importanti personaggi, ma anche gli epistolari, come quello di Guglielmo Lochis, che racconta gli acquisti delle proprie opere d’arte — continua la direttrice —. Tra i punti di forza della Mai il suo essere luogo di connessione e rimandi tra diverse tipologie di materiali: uno studioso legge un documento d’archivio e poi può trovare notizie da approfondire nei periodici locali. Nell’arco di una stessa giornata e luogo, si passa da un testo originale a volumi aggiornati. Non dimentichiamo poi il nostro catalogo online e il lavoro di digitalizzazione del patrimonio librario». La Mai è luogo di inediti, rappresentati dai manoscritti. «Davanti a un patrimonio così vasto — conclude Manca — l’inedito è all’ordine del giorno».
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