Scampia Discorsi sulle Vele. I lavori di demolizione e gli scenari possibili Attilio Belli Corriere del Mezzogiorno - Campania 25/2/2020
Le istituzioni, i comitati, Saviano e le Sardine Tutte le posizioni in campo per superare il degrado
Con l’avvio dei lavori di demolizione della Vela verde di Scampia prende corpo il progetto Restart promosso dall’amministrazione comunale di Napoli, con il sostegno finanziario del governo nazionale e dell’Ue. Si tratta di un passo significativo del lungo percorso avviato cinque anni fa per la redazione del progetto di fattibilità teso a trasformare uno dei quartieri periferici più (tristemente) noti in Italia in una centralità metropolitana. Un progetto elaborato in interminabili, combattute riunioni tra esponenti dell’amministrazione comunale, comitati popolari, docenti dei dipartimenti universitari di Architettura e Ingegneria, tecnici militanti. Protagonisti a diverso titolo l’assessore Carmine Piscopo, l’allora presidente del consiglio comunale Alessandro Fucito, il coordinatore del comitato Vele Vittorio Passeggio, un architetto storicamente impegnato nelle periferie come Antonio Memoli, numerosi docenti universitari tra i quali Mario Losasso e la compianta Daniela Lepore. Una vicenda che affonda addirittura negli anni ‘70 quando sono cominciati a emergere i primi moti di protesta degli abitanti, successivamente esaltata, ma anche oscurata, dalla diffusione della narrazione di Gomorra.
L’avvio dei lavori di demolizione fa emergere un fascio variegato di discorsi che tentano di confrontarsi con il disagio urbano della periferia napoletana. Proviamo a elencare i principali.
C’è il discorso delle istituzioni, quello dei comitati, quello dei cosiddetti rigeneratori sociali, quello dei “salviamo le vele”, quello dei grandi narratori, quello degli abitanti.
Il discorso delle istituzioni è impersonato principalmente dall’impegno dell’assessore all’urbanistica del Comune di Napoli, che è anche professore di Composizione Architettonica nel Dipartimento di Architettura della Federico II, Carmine Piscopo. Il discorso portato avanti ruota essenzialmente intorno all’obiettivo complesso, difficile, ma affascinante, di trasformare un margine urbano in una centralità metropolitana. E conduce al progetto Restart, consistente, in estrema sintesi, nell’abbattimento di tre Vele e nella riqualificazione della quarta, nella realizzazione di una molteplicità di attrezzature collettive e della Facoltà di Medicina e Chirurgia della Federico II, per una complessiva riqualificazione e connessione con il contesto territoriale.
Il discorso dei comitati ha nell’azione di quello delle Vele, di Vittorio Passeggio, Ornero Benfenati e dell’architetto Antonio Memoli l’espressione principale. Perché nella situazione di disagio, di sofferenza sociale si è radicata una storia lunga, complessa, d’impegno che rivendica giustamente il riconoscimento del ruolo rilevante assunto nella trentennale vicenda e della vastità dei contributi forniti a correggere le inadeguatezze non solo delle strutture abitative, ma del generale modello insediativo e dell’impianto viario improntato a una visione a dir poco sovradimensionata.
Poi c’è quello dei rigeneratori sociali portato avanti da Giovanni Laino professore di Tecnica e pianificazione urbanistica del Dipartimento di Architettura della Federico II e coordinatore del Quinto Rapporto sulle città dedicato alle periferie del Centro nazionale di studi Urban@it. Per Laino bisogna evitare di ridurre Scampia alle Vele. Scampia è una realtà sociale più ampia, articolata tra ceto medio, famiglie di lavoratori che corrono il rischio di scivolare verso la povertà, e un quarto circa della popolazione di proletariato marginale esposto ai rischi dei circuiti illeciti. Cornice essenziale del problema abitativo e urbanistico, che, anche nella dimensione ampia del progetto Restart (cui si rimprovera di aver inopportunamente escluso nuclei Rom), per essere gestito nel tempo, si ritiene abbia bisogno del supporto di una “regia di quartiere” capace di superare la frammentazione dei progetti e la molteplicità delle associazioni in campo. Nella stessa famiglia di discorsi è possibile annoverare quello dell’architetto Filippo Barbera, che, con il sostegno della Uil Campania guidata da Giovanni Sgambati, sta per dare alle stampe un documentatissimo volume intitolato L’insostenibile sofferenza della periferia . Le periferie napoletane dagli anni ‘50. L’accento è posto sull’esigenza di portare avanti una nuova visione delle periferie, in cui si colloca anche Scampia, dove la riduzione della sofferenza sociale è affidata a programmi di sviluppo piuttosto che edilizi. Prima le persone, il lavoro e poi gli edifici.
Poi c’è il discorso dei “salviamo le Vele”. Che rimanda alla petizione promossa da Luigi De Falco e indirizzata al Ministero Beni Culturali a difesa di un contesto dove, «pur non essendo né storico, né sociale, né naturale era presente -si afferma - un’architettura che si proponeva anche come contesto. E, contemporaneamente, una testimonianza qualificata della cultura europea». Posizione confortata da un ampio sostegno social per lo più di architetti. In questa direzione su Il Mattino si è speso Cherubino Gambardella professore di Composizione Architettonica all’ Università Vanvitelli favorevole a un’azione di recupero delle Vele come espressione di una capacità d’intervento dove le «Vele con la loro forma inconfondibile avrebbero potuto essere ristrutturate». Rendendole «meno dense attraverso tagli, inserti, demolizioni e aggiunte che non ne avrebbero alterato l’immagine potente e ne avrebbero fatto un luogo di incontro sociale garantendo la mescolanza di usi, la capacità di sintetizzare un sito che senza di loro potrebbe divenire un posto senza forma o sostituito da una forma commerciale e banale.» Prima le architetture, poi le persone quindi. Discorso ribaltato, con un senso un po’ surreale nel nostro contesto, dalla polemica su la Repubblica tra Michele Serra e Giovanni Durbiano, che parte dall’assunto delle Vele come «totem della bruttezza e del degrado sociale» e diventa discorso generale sulla bruttezza/bellezza e del legame/separazione dai referenti sociali. E che assorbe al suo interno il discorso sulle responsabilità del “tradimento” del progetto di Franz Di Salvo, ritenuto causa del suo peggioramento nell’attuazione, rinverdito dall’intervista alla figlia pubblicata su queste pagine.
Tra i grandi narratori domina Roberto Saviano espressione del trattamento ipersimbolico delle Vele con la sua gomorrizzazione e che su l a Repubblica , nel rinviare giustamente «i festeggiamenti quando ci sarà davvero una ricostruzione», sottolinea che l’intervento non può limitarsi agli abbattimenti e che il vero cambiamento diventerà possibile solo con l’arrivo di imprese portatrici di lavoro, valorizzando l’impegno dei comitati che ha aiutato «a comprendere gli elementi del disastro e ha anche permesso di mostrare gli errori di decenni e decenni di una politica contigua, della cattiva gestione». Contro un male che va oltre le Vele.
E poi ci sono i discorsi che fanno venire i brividi, quelli degli abitanti, molti dei quali, nonostante i tanti problemi affrontati, ricordano anni felici in una vita di comunità, e la proiettano su un futuro comunque ansiogeno. Che pensano di aver vinto con l’abbattimento, ma si conservano le “pietre ricordo”. Le sofferenze, i ricordi, le speranze, le paure.
Sullo sfondo il discorso delle Sardine, che fatica a emergere. Dove il contributo che potrebbero dare, se riuscissero a recuperare le gravi difficoltà di rapporto con i comitati, con l’incontro del 14-15 marzo, dovrebbe essere legato a una presa di posizione nei confronti del Piano per il Sud, a sostegno della pronta attuazione del progetto Restart Scampia.
Tra non molto, poi, si apriranno i discorsi del concorso internazionale per la progettazione urbanistica di Restart Scampia, con la speranza che sia una bella conversazione.
Infine ha osservato Paolo Macry: «Progettisti, urbanisti, amministratori locali, governi. Difficile dire chi si possa chiamare fuori dalle macerie di Scampia. «Anche se vi credete assolti, siete lo stesso coinvolti», cantava De Andrè». Certo, “chi è senza peccato scagli la prima pietra”, ha detto qualcuno, e allora? Per me, è ancora “ostinazione nella speranza”, attiva e vigile. La trasformazione di Scampia da margine urbano a centralità metropolitana potrà segnare un passo concreto per riproporre una nuova ambizione di modernizzazione? Si potrà così pensare Napoli in termini nuovi legati non tanto ai valori estetici dei manufatti, ma al rapporto della città con il suo hinterland? Speriamo di sì.
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