La cultura ci migliora, ora tocca a noi fare qualcosa per aiutarla Gabriele Ferraris Corriere della Sera - Torino 5/3/2020
È finito il tempo dell’ottimismo, comincia quello dell’attesa. In questi giorni la cultura ci ha provato, a ripartire. L’ha fatto con orgoglio e speranza. L’ha fatto perché tutti tengon famiglia e anche le famiglie dei lavoratori della cultura devono mangiare; ma anche perché la cultura senza un pubblico semplicemente non è. Non esiste. Ora non è più possibile. Ora bisogna fermarsi. Non discuterò se sia giusto o meno. È così, non abbiamo alternative. La situazione, ci assicurano, non è drammatica, ma è seria. E va affrontata con serietà. Senza panico — non è la peste bubbonica — ma neppure con leggerezza. Non la esorcizzeremo con il fatalismo, o con un meme sui social, ma con la consapevole presa d’atto che un’emergenza c’è, riguarda ciascuno di noi, e dobbiamo comportarci da adulti. Non da bambini isterici.
Ma risparmiamoci gli hashtag roboanti, #laculturanonsiferma o cose del genere, e pensiamo concreto, e per quanto possibile positivo.
È un fatto che uno stop anche solo di un paio di settimane mette in difficoltà qualunque realtà, anche la più solida, grandi musei e grandi teatri compresi; ma significa la catastrofe senza ritorno per le imprese private della cultura e dell’intrattenimento medie e piccole che non dispongono di riserve per tirare avanti e vivono spesso del cash flow, in parole povere di quanto incassano giorno per giorno. In simili condizioni avranno enormi problemi a pagare stipendi, utenze, mutui, imposte. Un sostegno — se non altro sul piano fiscale — arriverà di certo, e per quanto possibile, dallo Stato, dalle Regioni, dai Comuni; e la cassa integrazione straordinaria sarà un indispensabile sollievo. Ma per molti non basterà. È quindi indispensabile una presa di coscienza collettiva. Vogliamo la cultura? Ne siamo orgogliosi? Siamo convinti che rappresenti per la nostra città, per la nostra regione, un tesoro irrinunciabile? La consideriamo il pilastro della nostra civiltà e della nostra identità nazionale, nonché un elemento fondamentale del nostro sistema economico, un volano che produce pil e benessere? Bene, questo è il momento di dimostrarlo. Sosteniamola nei fatti, questa benedetta cultura. Pensiamo al dopo. A quando passerà la buriana. Perché passerà. E quando passerà non dobbiamo ritrovarci circondati dalle rovine di quanto più bello e nobile c’è nelle nostre vite. Altrimenti avremmo perso comunque. E allora diamoci da fare. Restituiamo adesso un po’ di quello che dalla cultura abbiamo ricevuto per tanti anni in allegria, soddisfazione, divertimento, incanto, curiosità, gioia di apprendere, miglioramento personale. Certo, gli operatori culturali devono dar fondo alla loro creatività nell’immaginare strade alternative, proposte nuove per continuare a esistere e operare anche nel tempo del coronavirus. Devono mettere in campo le risorse di resilienza che posseggono. Ma sta a noi, il pubblico, di lottare al loro fianco. Aderiamo ai crowfunding che alcuni lanceranno per superare la fase più dura; rispondiamo — mettendoci le mani in tasca — agli appelli; manifestiamo la nostra solidarietà in ogni modo possibile. Combattiamo insieme la giusta battaglia per rimanere umani anche quando tutto, intorno, sembra vacillare.
Per una volta, non domandiamoci che cosa la cultura può fare per noi, ma che cosa possiamo fare noi per la cultura.
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