Pianificare le nuove città, ecco la sfida del dopo virus Maurizio Tomazzoni* Corriere del Trentino 17/4/2020
* Maurizio Tomazzoni Istituto Nazionale di Urbanistica del Trentino
Mai come in questo momento è importante la pianificazione urbana, intesa nella sua accezione originale: urbanistica. Ovvero la disciplina che studia l’urbe, la città. Quella che produce i Prg (Piani Regolatori Generali) che si occupano dell’insieme degli edifici e delle infrastrutture nelle quali vivono le persone e si sviluppa la società.
Ma il sistema delle relazioni sociali alla luce della pandemia dell’era della globalizzazione, paiono oggi senza punti di riferimento, completamente stravolte. La consapevolezza (quasi) universalmente accettata descritta da Jean-Jacques Rousseau, di un luogo fisico che forma l’etica collettiva, è messo in discussione dalla radice. Tutti siamo parte di uno stesso organismo che stabilisce il fondamento etico della vita politica e ci offre l’opportunità di una relazione tra ambito morale e politico, ma a questo organismo vengono meno molte certezze. L’idea di un «io» che si percepisce e si riconosce come un «noi» diventa più complicata. Un «noi» regolato da una distanza minima di un metro, senza contatti fisici diretti, in molti casi online. Pensare a un dopo
È materia di pianificazione immaginare un «dopo» conseguente ad accadimenti di vario tipo. Vero che i futurologi si sprecano e ora ci aspetta la città post-virus da concepire. A partire da una definizione che andrà trovata, perché resterà un segno vistoso e profondo. Sarà la stessa conformazione della città a essere messa in discussione, ma in particolare gli spazi di relazione: non solo pubblici, anche privati all’aperto o all’interno delle abitazioni. La formazione della personalità di ogni individuo e di un noi collettivo, per ritornare a Rousseau, poggerà su basi che saranno in gran parte nuove. Da scoprire ma soprattutto da governare.
La tecnologia ha spesso costretto la pianificazione a inseguirla in quanto essa appare più spesso governata dalla logica del profitto anziché dalla politica sociale. E ha sempre creato sbilanciamenti profondi all’interno delle società con conseguente conflittualità. A partire dall’espansione delle città legata alla rivoluzione industriale, ha guidato la crescita di quartieri o intere conurbazioni salvo poi costringere a cercare rimedi per inserire tra le abitazioni la «polis»: ovvero le infrastrutture e le funzioni per rendere la città luogo di convivenza di comunità alla ricerca di un benessere collettivo. Un compito delegato alla pianificazione.
La grande inurbazione iniziata negli anni ‘60, e in certe parti del mondo non ancora terminata, è spesso ulteriore segno di come la mancanza di pianificazione provochi scompensi sociali incontrollabili. La storia insegna poco: gli esempi di buona pianificazione ci sono, ma troppe periferie sono lì a testimoniare il contrario, ovvero cosa succede alla città senza il governo della trasformazione.
Le grandi concentrazioni umane nel prossimo futuro probabilmente torneranno a essere molto simili a quelle che conosciamo:nel bene e nel male. Le nostre piazze della movida e i centri commerciali torneranno luoghi affollati, ma c’è da chiedersi quando e come? Dovrà essere predisposta un’alternativa all’attuale assetto seppur transitoria. La relazione sociale, quella che nella nostra società trentina si manifesta soprattutto in piccole aggregazioni (se paragonate alle tantissime megalopoli) che vive all’ombra di un campanile e che funziona da vero e proprio controllo sociale, ora sopravvive in forma ridotta.
L’uomo occidentale si è auto-castrato aderendo acriticamente a un controllo attraverso i social, che di sociale in senso tradizionale hanno ben poco, ma permettono un controllo quasi capillare di abitudini e finanche di sentimenti. A volte basta un «like» concesso con leggerezza, per vedersi recapitare proteste indignate. Siamo al controllo delle intenzioni. Vincere la psicosi
L’erosione della funzione sociale degli spazi collettivi tradizionali, che l’era della comunicazione ha introdotto, probabilmente sta arrivando all’epilogo. Molti dei centri pensati per essere aggregativi, quali i centri commerciali o impianti sportivi, avranno bisogno di rivedere totalmente gli spazi interni per vincere la psicosi che ci accompagnerà a lungo, indotta da questo o futuri virus. Riusciremo a ripensare nuove forme di spazi (non necessariamente fisici) che permettano di rigenerare il collante delle comunità? È la sfida che ci aspetta e va pensata attraverso una pianificazione ragionata, prima di lanciarsi in enormi investimenti in opere pubbliche o infrastrutture pur di muovere l’economia. Un robusto investimento in pianificazione, a priori e non a posteriori, potrebbe evitare molte storture che sarebbero pagate dalle future generazioni a caro prezzo.
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