Coltivare cultura Ugo Morelli Corriere del Trentino 18/4/2020
Dalla chiusura delle scuole, a quella delle librerie e delle biblioteche, dei teatri e dei cinema, delle sale musicali e di ogni tipo di seminari, incontri e convegni, a essere sospesa nelle nostre vite e nelle nostre relazioni è anche la cultura. Supplisce come può la rete, soluzione tecnologica quanto mai opportuna, ma ognuno di noi sa e sente che non è la stessa cosa. Ce la facciamo bastare.
E sperimentiamo che siamo corpi che si incontrano e si scambiano menti relazionali situate nei contesti fisici delle nostre vite. Ma una cosa è l’informazione e il freddo apparire su uno schermo del volto dell’altro, un’altra cosa è la presenza con tutte le sue componenti di prossemica, di vitalità, di attrazione e repulsione, di cooperazione e di conflitto. La vita, insomma. È quella che si chiama eusocialità, con i compromessi, le approssimazioni, i giochi cooperativi, gli accordi e i disaccordi, ad averci reso gli umani che siamo. Stringersi la mano, un gesto che oggi non possiamo esprimere, è un simbolo evidente di cosa sia la vicinanza e di come si diventi quello che siamo, nel bene e nel male. Una domanda cruciale è, perciò, come stiamo coltivando la nostra conoscenza, i nostri saperi, le nostre condivisioni, in questa esperienza di umanità limitata che il Covid-19 ci impone. Riusciremo a elaborare la paura investendo in cultura e conoscenza, senza regredire — come rischiamo di fare — a uno stadio di chiusura vegetativa, in cui prevarrebbe l’egoismo e negheremmo l’eusocialità e la cooperazione? L’umanità, per esprimere il meglio di sé, richiede di essere coltivata. Di noi può venire fuori il meglio o il peggio in base agli humus culturali nei quali cresciamo e ci esprimiamo. Coltura e cultura hanno la stessa matrice nel «colere» latino, che richiama l’atto del coltivare. L’umanesimo è una risposta necessaria. Ma non sufficiente. Non si tratta di un concetto neutrale. «Nulla di ciò che è umano mi è estraneo», scrive in un verso il poeta latino Terenzio, ripreso da Michel de Montaigne. Anche la distruttività è umana, ad esempio, e un esame di realtà impegnativo quanto necessario è la condizione per un’emancipazione possibile mediante l’educazione e la cooperazione. Mentre abbiamo disinvestito in cultura e educazione, fino al punto di sentire dei governanti affermare che di cultura non si mangia, conviene oggi chiedersi se saremo finalmente capaci di cambiare rotta e riconoscere il valore primario della cultura.
Un sistema locale come quello trentino, che ha fondato l’ultimo quarto di secolo sull’investimento in cultura, può perseguire un’ulteriore affermazione di una scelta così importante. Per un nuovo umanesimo. Dove umanesimo dovrebbe necessariamente significare non più perseguire il primato dell’umano, ma assumerci la responsabilità di una specie che non solo sa, sa di sapere, per creare una vivibilità sostenibile con il sistema vivente di cui siamo parte. |