Ponte Vecchio, simbolo in bilico Loredana Ficicchia Corriere Fiorentino 22/4/2020
Gli orafi: rischiamo di non riaprire, abbiamo bisogno che le istituzioni ci aiutino
Gli orafi di Ponte Vecchio lanciano una richiesta di aiuto alle istituzioni. Con una lettera al premier Conte, al governatore Rossi e al sindaco Nardella, firmata dalla presidente dell’Associazione, Giuditta Biscioni, le botteghe orafe più famose del mondo fanno capire che riaprire per loro non sarà scontato, visto il legame stretto con un turismo che non tornerà presto, se non ci saranno aiuti forti.
Lettera a Conte, Rossi e Nardella: cassa integrazione di almeno un anno e ridiscutiamo gli affitti
Cassa integrazione per almeno un anno, affitti protetti, sanificazione mirata, trattandosi di merce preziosa, protocolli compatibili con negozi scrigno quali sono le botteghe di Ponte Vecchio. Che comunque non riapriranno neanche nella fase 2 al via il 4 maggio. «Non ci sono i turisti e i nostri sono negozi turistici, anche se di lusso» spiega la neopresidente dell’Associazione Ponte Vecchio, Giuditta Biscioni. Già domenica scorsa, a nome dell’associazione, ha inviato una lettera al sindaco di Firenze Dario Nardella, al presidente della Regione Toscana Enrico Rossi e al presidente del Consiglio Giuseppe Conte, chiedendo un’attenzione particolare a un problema particolare, ovvero la sopravvivenza di Ponte Vecchio con le sue minuscole boutique celebrate nel mondo, una parte importante dell’identità di Firenze. «La nostra Associazione — si legge nella missiva — ha risposto alla crisi da Covid-19 chiudendo tutti gli esercizi commerciali l’11 marzo, quindi ancora prima che entrasse in vigore l’obbligo di sospensione delle attività commerciali. La decisione è stata presa innanzitutto a tutela della salute dei nostri dipendenti, dei nostri collaboratori, dei nostri clienti e di noi stessi, ma anche per una motivata responsabilità imprenditoriale a seguito della sopravvenuta antieconomicità nel continuare l’attività commerciale stante la drastica diminuzione di flussi prevalentemente turistici, ma anche locali».
«Vogliamo mettere in evidenza — insiste Giuditta Biscioni — le inevitabili ripercussioni economiche e sociali alle quali andremo incontro qualora non si affrontasse tale emergenza in maniera sistematica e coesa, ritenendo perciò che lo strumento della cassa integrazione in deroga di nove settimane non risolva il problema. E questo perché la riduzione del fatturato, prevedibilmente, si protrarrà ben oltre tenendo conto della natura della nostra attività economica fortemente connessa ai flussi turistici nazionali e, soprattutto, internazionali».
L’associazione chiede attenzione anche nei confronti del personale, dipendenti formati che non si può rischiare di perdere, ribadiscono. Altro ma non meno importante capitolo è quello che riguarda i canoni di locazione difficilmente onorabili in tempi di chiusura: «Sarebbe opportuno — si legge nella lettera — eliminare ogni incertezza riguardo l’invalidità delle eventuali richieste di sfratto per morosità, fondate sul mancato pagamento dei canoni di locazione nel corso dell’emergenza Covid-19, e congiuntamente un intervento mirato ad agevolare il raggiungimento di nuovi accordi tra i locatori e locatari tramite una serie di incentivi quali, “bonus” da riconoscere ai locatori per le mensilità non percepite causa chiusura obbligatoria dei locali commerciali; riconoscimento della cedolare secca del 10% applicabile a tutti i redditi da locazione di immobili censiti in categoria C1 qualora la proprietà riconosca una consistente nonché adeguata riduzione del canone di locazione». Quanto agli interventi di sanificazione l’Associazione Ponte Vecchio ritiene che le misure previste rendano di fatto impossibile lo svolgimento della loro attività economica. «Impossibile – spiegano poi — impedire al cliente di non avvicinarsi al bancone e provare l’oggetto. Per non parlare — tira corto Biscioni — come l’uso della mascherina possa mettere a repentaglio la sicurezza». |