Torino. La cultura dei tavoli e degli annunci a vuoto Gabriele Ferraris Corriere della Sera - Torino 27/5/2020
L’ho scritto infinite volte, negli ultimi mesi: la cultura e lo spettacolo hanno patito, quanto e più di altri comparti produttivi, le nefaste conseguenze della pandemia; e continueranno a patirle anche nell’incerta Fase 2.
Ma al male comune se ne aggiunge uno specifico di Torino, dove le politiche del settore — gli assessorati alla Cultura, per intendersi — sono negativamente condizionate da due avversità dipendenti dal fattore umano: inconcludenza e buone intenzioni.
L’inconcludenza è il peccato capitale dell’assessore Leon. In due mesi di lockdown non ha rabberciato lo straccio di un un piano strutturato e operativo, al di là dell’ovvio impegno a saldare alle associazioni i vecchi contributi non ancora pagati, e alla risibile dilazione (soltanto fino a dicembre!) del pagamento dei canoni per gli stabili comunali in uso al no-profit.
Anche l’altro giorno, chiamata a illustrare davanti all’apposita Commissione i provvedimenti a sostegno del lavoro culturale, e i progetti per l’allestimento di punti estivi di spettacolo, ha citato infiniti tavoli. Se chiamavano in Commissione gli Artigiani della Qualità il risultato non cambiava, a parte che avrebbero parlato anche di divani.
Né è chiaro se e quando la Tavoliera delle Alpi si sia seduta, ai famosi tavoli. Quello più importante, dedicato ai punti estivi, è stato convocato solo mercoledì scorso, senza però riunirsi. E se pure i tavoli ci sono stati, e ci sono stati gli ascolti, e le consultazioni infinite evocate da Leon, beh, i risultati non si vedono. La Tavoliera in Commissione s’è arrabattata come, davanti al professore, un qualsiasi liceale che non ha studiato la lezione. Tutto ciò che si è capito è che non c’è nulla di pronto, e non si sa neppure quali e dove saranno, i punti estivi. Li stanno «mappando», dice lei. Manco fossero esploratori che hanno scoperto un nuovo continente. La Tavoliera ha però assicurato che «ci stanno lavorando». Espressione quest’ultima da Leon spesso usata in gran difficoltà: sebbene io non abbia mai capito come e con che fine lavorino, e soprattutto quando si vedranno i risultati di tanto lavorìo.
E veniamo all’altra avversità. Anche le buone intenzioni sostenute da un attivo pragmatismo sono talora perniciose, se appartengono a quel genere di buone intenzioni che lastricano la strada per l’inferno. Strada che ha imboccato la pragmatica Vittoriona Poggio che, in quanto commerciante, aveva capito prima e meglio di altri le criticità economiche del settore; salvo cascare vittima dell’impreparazione come assessore alla Cultura.
Confesso che fatico ad essere severo con Vittoriona: lei — accettando in extremis un incarico che altrimenti sarebbe andato a Roberto Rosso — ha comunque reso alla cultura piemontese un servizio meritevole d’eterna gratitudine. Ciò tuttavia non la assolve dagli errori che sta commettendo in questo momento di crisi.
Il primo errore, d’ordine psicologico, consiste nel malvezzo — tipico della politica — di dare per certe quelle provvidenze che sono invece semplici aneliti di volontà. Due mesi fa la Regione ha annunciato l’immediato pagamento dei contributi arretrati, senza tener conto delle lungaggini della burocrazia: con il risultato che i malumori per i soldi non arrivati prevalgono oggi sulla soddisfazione per quelli che arrivati sono. Trovo incredibile che la politica ancora non capisca che un annuncio a vuoto fa più danni di mille impegni mai presi.
Ma più grave è la condiscendenza di Vittoriona al callido Cirio, che ha inserito nel mitico decreto Riparti Piemonte uno stanziamento di 3 milioni per sostenere i lavoratori della cultura più svantaggiati, tecnici, artisti, partite Iva che finora non hanno goduto manco dei 600 euro Inps. Provvedimento buono se porterà mille euro nelle tasche di tremila persone in difficoltà; ma velenoso perché i 3 milioni salteranno fuori con un taglio orizzontale del 5 per cento dei contributi che la Regione stessa stanzia per le fondazioni culturali, tipo il Regio o il Museo del Cinema.
Vabbé, direte voi, la destra toglie ai ricchi per dare ai poveri: e allora? Si sa, non ci son più le destre e le sinistre di una volta.
E invece non funziona così. Le fondazioni culturali i soldi della Regione li spendono per la loro attività, che dovranno ridurre se ricevono di meno: e dunque daranno meno lavoro ai collaboratori esterni, tecnici, artisti eccetera. Alla fine della fiera quelli fregati sono sempre gli stessi. Con la differenza che se la fondazione non gli dà lavoro maledicono la fondazione; se non ricevono i mille euro maledicono il politico. E questo il callido Cirio lo sa.
Già prevedo l’obiezione: si fa presto a criticare, ma al posto di ‘sti poveri assessori tu cosa faresti? Niente, farei, perché io al posto loro non ci sono. Sono un asino, e non ho soluzioni in tasca. Nemmeno mi ci provo. Ma mi aspetto idee più intelligenti delle mie da chi, per ambizione o spirito di servizio, e senza che gliel’abbia prescritto il medico, conquista il potere promettendo di risolvere i problemi altrui — mentre noi poveri essere fallibili stentiamo a risolvere i nostri. Altrimenti, che li pago a fare?
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