Ma che c'entra il virus con l'alluvione? Tiziana Masucci Corriere Fiorentino 30/5/2020
Caro direttore, ho letto con curiosità il programma «Firenze rinasce» del sindaco Nardella.Tante buone intenzioni che, tuttavia, mi lasciano perplessa.
Credo sia una svista pericolosa affrontare il Covid-19 come l’alluvione del 1966. Per quanti sforzi faccia, non trovo il file rouge se non nell’iniziale sottovalutazione della gravità del problema e nell’evidente disastro che, forse rispetto all’alluvione, è di entità maggiore: il virus non è stato ancora debellato.
L’alluvione, sebbene mise Firenze in ginocchio, è stata uno spartiacque generazionale: il fango che i giovani spazzavano era metaforicamente la mentalità antiquata che li soffocava. Rendersi utili significava gridare al mondo di esistere e, soprattutto di darsi un ruolo: quello di salvatori della città, una città dal valore simbolico potente. Salvare Firenze era come salvare il futuro di generazioni. In un certo senso, l’alluvione è stata prodromo pacifico alla rivoluzione del ’68, e ha notoriamente richiamato il mondo a Firenze. Gli appelli internazionali, gli aiuti economici furono utili, l’attenzione mediatica pertinente contribuì a sostenere la città; il sindaco Bargellini si adoperò da subito con coscienza e concretezza cercando di anteporre gli interessi della città alla politica, e fece un lavoro eccelso ma non dobbiamo dimenticare che a fare rinascere Firenze furono soprattutto i fiorentini con dignità, pazienza determinazione, e lontani dai riflettori. Affinché Firenze oggi risorga deve contare sulle proprie innumerevoli risorse, artistiche e artigianali, spesso maltrattate, e non mostrarsi al mondo con il cappello in mano chiedendo di essere «salvata».
Ben venga il contributo internazionale ma la bontà non deve avere un prezzo occulto. Vale la pena ricordare che, ogni volta che ci si è messi a fare la questua , per quanto potesse sembrare l’unica soluzione (e anche la più facile), il mondo è subito accorso a Firenze e tra ringraziamenti e clamore di clarine con una mano ha aiutato e con l’altra ha preso. Mi chiedo, dunque, perché nell’attuale situazione catastrofica mondiale, «gli illustri e abbienti» dovrebbero salvare proprio Firenze? Se da un lato è d’obbligo pensare al futuro immediato, dall’altro è fondamentale comprendere che le modalità devono essere reinventate, totalmente. E questo richiede tempo, attenzione mirata e creatività fattiva secondo le esigenze endemiche di Firenze e dei fiorentini. Il coronavirus ha avuto l’effetto di tabula rasa , se non si entra in questa ottica non si va da nessuna parte. Schemi collaudati non sono più applicabili; le misure pseudo-risolutive, il ricorso all’evento attira turisti non funzionano poiché non risolvono il problema alla radice ma lo rafforzano. La lungimiranza e l’intelligenza sta anche nel comprendere che questa calamità può essere una opportunità straordinaria per riportare alla luce l’essenza vera di Firenze per troppo tempo travisata e alterata. «Firenze illude chi la contempla, schernisce chi crede di possederla» per citare Violet Trefusis che conosceva bene la città.
L’essenza di Firenze è unica, sfugge alla banalità dell’apparenza seppur una apparenza meravigliosa; va cercata in profondità nelle sue radici, non si può catalogare, né imbrigliare in schemi alla moda che non le appartengono. Non è impresa facile, occorre una certa sensibilità e la capacità di sintonizzarsi su una lunghezza d’onda che non trasmette su canali main stream. Restiamo fiduciosi, poiché come recita un antico detto di Firenze: «Molti pochi fanno un assai». |