Roma, il centro, gli atenei e il futuro Paolo Fallai Corriere della Sera - Roma 8/6/2020
La situazione eccezionale che stiamo vivendo ci obbliga ad una riflessione più approfondita e a una nuova attenzione all’uso del linguaggio. Oggi tutta la nostra città vive una concreta emergenza - quante volte abbiamo usato a sproposito questa parola - che mette in discussione decenni di stereotipi e scelte discutibili. Ci eravamo abituati a pensare ad un centro storico «privilegiato», contrapposto a una periferia carente di servizi e abbandonata alle proprie contraddizioni. Sono bastate poche settimane di stop per cambiare completamente il paradigma e mettere alla berlina frasi fatte e conformismi. Oggi il centro, abbandonato da tempo dai residenti, è solo una delle tante aree costrette a confrontarsi con la povertà. Neanche la straordinaria ricchezza culturale, coperta da una patina di indifferenza pluridecennale, riesce a salvarlo. Senza la massa dei turisti, faticano a riaprire centinaia di bar tutti uguali, esercizi per la vendita di pizze a taglio che ormai hanno lo stesso sapore a Piazza Lodi, a Singapore e a Lugano, ristoranti identici per povertà e personalizzazione.
Interi quartieri fondati sulla psicologia dell’affitto mordi e fuggi, dell’appartamento frettolosamente trasformato in bed& breakfast, sono deserti senza capire come quando potranno nuovamente riempirsi. Mentre il dramma della casa per decine di migliaia di famiglie è sempre lì ed è destinato ad aggravarsi. Quella che pomposamente abbiamo più volte chiamato la città dell’intelligenza, riferendoci orgogliosi alle università pubbliche e al loro prestigio, forti dei 200.000 iscritti, delle migliaia di professori, di un indotto capace di coinvolgere categorie diverse e lavoratori, osserva sbigottita una realtà inaspettata: l’intero settore delle camere affittate ai fuorisede, senza regole, senza nessuna garanzia e naturalmente senza pagare le tasse, è in ginocchio. In compenso a quei fuorisede non abbiamo mai pensato con un piano credibile di studentati o residenze. E la soluzione, annuncia parte, sembra quella «didattica a distanza», esami compresi, destinata ad allontanare sempre più gli studenti da quel luogo di formazione e incontro che dovrebbe essere l’università. E ad aumentare le divisioni tra le facoltà «elette» che potranno permettersi lezioni e laboratori con la presenza degli studenti. E quelle che se la caveranno con i video, lasciando queste ragazzi sempre più soli, sempre più lontani, sempre meno coinvolti.
Abbiamo capito da questa severa lezione che riunirsi sarà sempre più difficile, ma non abbiamo capito quale prezzo saremo chiamati a pagare in termini di partecipazione, discussione, confronto anche aspro che non si può risolvere spingendo il tasto off di un computer.
Abbiamo capito e visto che il modello urbanistico sul quale questa città si è venuta stratificando nel corso dei decenni, è ingiusto e sbagliato. Concepito sul turismo «di rapina», quello delle permanenze medie inferiori alle quarantott’ore, quello dei record di presenze al Colosseo e di scandalose dimenticanze nelle meravigliose pinacoteche minori che Roma può vantare.
L’unico aspetto positivo delle crisi di questa portata è che rappresentano una occasione irripetibile per ripensare la fisionomia di questa città e il rapporto che vuole avere con il proprio patrimonio, con l’università, con le nuove generazioni, cui dovremmo cercare di offrire qualcosa in più di un aperitivo con stuzzichini. Non è solo una occasione per renderla più vivibile e meno ingiusta. È l’ultima occasione per dimostrarci una comunità civile che sa guardare il futuro. |