Le Statue Generali Massimo Gramellini Corriere della Sera 13/6/2020
Nei giorni in cui i monumenti di Churchill e Colombo vacillano, e anche se fossi un soprammobile non mi sentirei troppo tranquillo, di una cosa possiamo andare certi: il presente produrrà poche statue da abbattere. Non mancano i martelli, ma i modelli. Quelli del passato erano giganti. Pieni di macchie, magari. Però scoprivano continenti, sconfiggevano il nazismo o banalmente (mica tanto) scrivevano canzoni come Penny Lane, la strada beatlesiana di Liverpool a cui adesso si vorrebbe cambiare nome per il sospetto che quel Penny fosse un trafficante di schiavi.
Non che oggi in Occidente latitino i soggetti in grado di dividere le future generazioni. Basti pensare a uno come Trump, che per portarsi avanti col lavoro ha deciso di dividere già i contemporanei. Ma nessuno di loro ha combinato qualcosa di talmente straordinario da giustificare una colata di marmo o anche solo un francobollo commemorativo. Nelle settimane della grande strizza avevamo accarezzato l’idea che un simile onore potesse toccare ai virologi, ma l’ipotesi di una statua equestre a Burioni appare per il momento tramontata. Tra cinquanta o cinquecento anni riesce difficile immaginare che esisteranno fontane da cui staccare il profilo di Macron o che si raccoglieranno firme per abbattere uno spartitraffico a forma di Conte. I primi a sapere che nessuno farà mai loro un monumento sono proprio i politici. Non per niente indicono gli Stati Generali. Così almeno il monumento se lo fanno da soli.
|