Tra influencer e neomelodici. L’arte «svenduta» sui social Massimiliano Virgilio Corriere del Mezzogiorno - Campania 25/2/2021
Il rancore e il dileggio verso chi osa criticare operazioni come quella realizzata con l’ormai famoso videoclip di Andrea Sannino, sullo sfondo delle opere d’arte del Museo di Capodimonte, non può essere ignorato. Atteggiamento che, con il codazzo di veleni locali in puro stile neomelodico – altro che il buon Sannino, apprezzatissima voce anche fuori dal contesto campano – testimonia l’esistenza di un’ideologia pervasiva ormai radicata nel sistema dei beni culturali. Quella di coloro che, considerando un polveroso orpello il dettame costituzionale, ritengono che il nostro patrimonio artistico debba trasformarsi nel palcoscenico di una permanente operazione di marketing a generico vantaggio di una non meglio identificata bellezza italiana o, quando a parlare sono ex piazzisti riciclati a manager culturali, del famigerato made in Italy.
Un’ideologia ramificata a ogni livello politico e dirigenziale, oltre che nel mondo della comunicazione, sempre pronta ad accusare di conservatorismo chi non è d’accordo con le sue posizioni. Un’ideologia che punta il dito contro chiunque manifesti dubbi o dissenso, accusandolo di essere ammorbato da plurime e infime malattie: quella dell’immobilismo, del purismo, dell’elitarismo, dell’esser vecchi e superati.
Contro quest’ideologia demagogica al potere, che si nutre del richiamo al popolo aizzando i social network, a nulla serve il tentativo di dialogare, spiegarsi, analizzare i fenomeni e persino, numeri alla mano, confutare dati considerati tali quando in realtà sono soltanto assiomi indimostrati.
L’influencer che si è lasciato fotografare davanti all’opera d’arte portando un rilevante aumento dei visitatori, lo youtuber che parlando di quell’opera in rete ha condiviso con migliaia di persone un contenuto culturale... e via così discorrendo in un vortice di affermazioni dal sapore metafisico che, in quanto indimostrate, non sono né vere né false: sono soltanto parole.
In questo contesto, dunque, va a iscriversi l’ennesima querelle sul videoclip di Andrea Sannino, peraltro da considerare a tutti gli effetti uno spot pubblicitario delle bellezze campane e come tale uno strumento di promozione istituzionale. Nessuno scandalo, per carità.
Nessun estremismo da purista. Al cospetto di risultati chiari ed evidenti, sarei disposto a deporre le armi del dissenso. Tuttavia mi piacerebbe che i populisti dei beni culturali ci dimostrassero la validità delle loro strategie, raccontandoci al di là del numero di biglietti (ricordate? Quando non c’era la pandemia, era questo il loro unico Dio) gli esiti in termini di conoscenza e inclusione sociale delle fasce svantaggiate che ne può derivare da un filmato come quello al centro della polemica, realizzato senza contestualizzazione, senza informazioni, senza didattica.
Non sarebbe più opportuno, mi chiedo, spendere le risorse a disposizione in interventi pedagogici mirati, concreti, contestualizzati nel territorio di riferimento delle istituzioni museali, soprattutto tra i più giovani, senza farsi il sogno che migliaia di visualizzazioni in rete possano diffondere conoscenza a prescindere? Siete sicuri che sia questo il modo di veicolare l’arte?
Solo questo chiediamo con umiltà: discutere mettendo da parte la religione dei social con i suoi slogan, i suoi argomenti ontologici e le sue affermazioni indimostrate. |