Patrimonio all'italiana Ermete Realacci Il manifesto 11/12/2002
ERMETE REALACCI Nel bel libro di Salvatore Settis, Italia S.p.A., sull'assalto portato al nostro patrimonio pubblico, si fa riferimento, a un certo punto, a un personaggio letterario, un ex ministro lituano, che mette in vendita il proprio paese via Internet grazie ad una società denominata «Lituania Incorporated», in pratica «Lituania SpA». Nel libro citato da Settis il ministro in questione si rivela poi un truffatore e la società da lui pubblicizzata su Internet non esiste. Nella realtà del nostro paese il ministro esiste eccome ed esiste anche la «Patrimonio dello Stato Spa», la società creata proprio per «alienare, gestire e valorizzare» il patrimonio dello stato. Dalla letteratura alla satira, ecco la spassosa parodia del nostro ministro dell'economia fatta da Corrado Guzzanti, con tanto di calcolatrice, erre moscia e conti che non tornano. Anche in questo caso la realtà è drammaticamente più paradossale e più grottesca. E' il vero Tremonti, non la sua parodia, quello che snocciola davanti alle telecamere il valore totale del nostro patrimonio pubblico: 2000 miliardi di euro, o due trilioni di euro, quanti fantastabilioni di lire signor ministro? E uno immagina funzionari ministeriali e soprintendenti, calcolatrice in mano, intenti a stimare e a sommare il prezzo di boschi, spiagge, quadri, musei, palazzi, caserme, fari, aree archeologiche, monumenti, parchi urbani e costieri. Come sarà stato possibile stimare questi beni? Adoperando i parametri delle aree agricole o di quelle edificabili? E i parchi? Si saranno considerati i vincoli che insistono su queste zone? E le aree definite patrimonio dell'umanità dall'Unesco? Potremo venderle e cartolarizzarle o dovremo chiedere il permesso alle Nazioni unite?
In fondo la cifra di tutta la complessa e confusa operazione messa in piedi dal ministero dell'economia, secondo la quale le megaopere della legge obiettivo saranno finanziate dalla «vendita, gestione e valorizzazione» del nostro patrimonio, sta tutto in quella dichiarazione: «L'Italia ha un patrimonio pubblico stimato in 2000 miliardi di euro», come se qualcuno potesse ragionevolmente, quantificare il valore di un'opera d'arte, di un bene pubblico, di un paesaggio o di un tramonto, senza rischiare di squalificare tutto il nostro patrimonio pubblico, tutti i nostri beni, anche quelli di particolare valore storico artistico.
C'è un'idea perversa secondo la quale si può procedere alla vendita dei beni che non sono di particolare valore storico artistico, o meglio, se ci fossero beni di questa natura bisognerebbe acquisire anche la firma del ministro dei beni culturali. Tutto il resto è nella disponibilità dell'amministratore delegato della Patrimonio Spa, ovvero del ministero dell'economia che lo nomina e, in qualche modo, lo controlla. Di quel Ministro insomma che solo pochi giorni fa ha consegnato nelle mani del Fai il parco di Villa Gregoriana a Tivoli. Anche quello è stato un episodio emblematico: un bene di straordinario valore storico, artistico e naturalistico consegnato nelle mani, beninteso, di una delle più meritevoli associazioni di difesa del nostro patrimonio, ma dalle mani del ministro dell'economia, come a voler sottolineare, se ce ne fosse ancora bisogno, chi dispone del patrimonio del nostro paese. Nessuna traccia del ministro Urbani che pure qualche competenza su quel bene l'avrebbe dovuta avere. Ma l'idea di gestione del patrimonio culturale che ha il ministro Urbani la si ricava dalle pagine del suo libro appena pubblicato. No, non dove dice che avrebbe tanto voluto andare alla Rai, ma poi è stato costretto ad accettare il dicastero dei Beni culturali, ma piuttosto dove parla delle straordinarie possibilità che le nuove autostrade offrono per garantire la fruibilità delle aree archeologiche: «credetemi sulla parola - scrive entusiasta Urbani - sarà un patrimonio archeologico offerto a tutti gli automobilisti», come se si stesse parlando di rendere fruibili i siti archeologici nella foresta brasiliana grazie alla realizzazione della Transamazzonica. In effetti c'è tanto Terzo mondo nell'approccio che i nostri governanti stanno riservando al patrimonio del nostro paese. E del resto, prima della madre di tutte le cartolarizzazioni voluta dal ministro Tremonti, la più significativa esperienza in questo settore non è stata forse quella realizzata in Argentina? E non sono proprio i paesi del Terzo mondo quelli costretti ad alienare il proprio patrimonio pubblico per pagare i debiti?
«L'Italia non è in vendita», cari ministri, vogliamo dirlo forte ed è per questo che il prossimo 14 dicembre Legambiente ha organizzato decine di manifestazioni in giro per l'Italia contro i tentativi di vendere i beni pubblici, ma anche contro la politica ambientale che sta svendendo pezzo per pezzo il nostro territorio accelerando le procedure per l'installazione di nuove centrali elettriche, annullando i controlli sulla realizzazione delle nuove infrastrutture, disseminando l'Italia di ponti e trafori inutili. Ci ritroveremo sabato in oltre 100 località, ad Alba Fucens, a Capo Teulada, all'isola di Sant'Andrea nella laguna di Venezia, sul tracciato della nuova Aurelia e a Brindisi, che qualcuno vorrebbe trasformare in una sorta di area di servizio brutta e inquinata per produrre energia da esportare lontano.
L'Italia è il paese più bello del mondo e la caratteristica pubblica del nostro patrimonio è il nostro valore aggiunto che ha contribuito a creare senso d'identità e di appartenenza fra tutti i nostri concittadini. Può apparire retorica patriottica, ma proprio in questo momento la vendita dei beni pubblici rischia di dare un'ulteriore spallata a quell'idea di nazione che abbiamo conosciuto e praticato. E invece di fare cassa ci ritroveremo tutti più poveri e più soli. Noi non vogliamo.
P.S.: Per vendere il nostro patrimonio di valore storico artistico è previsto che venga consultato il ministro dei Beni culturali, ma non è prevista neppure una telefonata al ministro dell'Ambiente in caso di alienazione di territori protetti, demanio costiero o altre aree naturalisticamente significative. La legge istitutiva della Patrimonio Spa non cita mai il ministero dell'Ambiente e anche in questo caso quindi a decidere sarà Tremonti. Verrebbe da dire «signor ministro dell'Ambiente, dica qualcosa d'ambientalista!», se non venisse il sospetto che il suo silenzio faccia parte del gioco.
Ermete Realacci è presidente di Legambiente
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