No a centralismi senza regole Paolo Giaretta Il Popolo 13/06/2002
Il cosiddetto decreto "taglia deficit" presentato in tutta fretta dal Governo non taglia quasi niente del deficit che si va profilando nei conti pubblici. Siamo passati, come avevamo facilmente previsto, dal buco che non esisteva al buco creato da Tremonti, tanto da obbligare il Governatore della Banca d'Italia, fin qui prodigo di incoraggiamenti al governo delle destre, a parlare esplicitamente della necessità di una correzione strutturale dei conti pubblici.In compenso (per decreto legge!) si prevede la creazione di due grandi società, l'una interamente pubblica "Patrimonio S.p.A." titolare potenzialmente dell'intero patrimonio dello Stato (in terreni, immobili, titoli, partecipazioni azionarie, beni culturali ed ambientali, ecc.), l'altra "Infrastrutture S.p.A." con la possibile partecipazione di capitale privato per la realizzazione di infrastrutture e non meglio definiti investimenti per lo sviluppo economico (e qui ci sta dentro tutto, anche la riedizione della Cassa del Mezzogiorno, della vituperata Efim, ecc.)Non è naturalmente criticabile, se vi fosse, la ricerca di mezzi innovativi per valorizzare il patrimonio dello Stato e la realizzazione di opere pubbliche in regime di finanza di progetto. Il problema è che la proposta del governo, rendendo dubbio il raggiungimento di questi obiettivi, certamente comporta una serie di gravissime conseguenze per la tutela degli interessi collettivi, per la trasparenza dei conti pubblici, per il rafforzamento di mercati concorrenziali.E' una operazione che trova il suo asse in una concezione statalista e centralista senza precedenti. Federalismo, sussidiarietà, mercato, autonomia locali? Cose buone per la propaganda: esiste invece solo lo Stato Centrale come valore assoluto, lo Stato rappresentato da una sola persona, il Ministro del tesoro, che diventa titolare "uti singuli" del patrimonio dello Stato. Con propri decreti, sottratti alla collegialità del Governo, al controllo del Parlamento, della Corte dei Conti, del Consiglio di Stato, anche in deroga alla legislazione vigente, il Ministro deciderà quali beni pubblici passeranno alla società Patrimonio S.p.A. e a quali valori.Il regime giuridico dei beni pubblici conosce una pluralità di situazioni: patrimonio indisponibile, disponibile, demanio naturale, demanio artificiale, a cui corrisponde la complessità del rapporto tra bene e comunità. Questi beni sono molto di più di una posta sul Conto Generale dell'Attività dello Stato, sono beni identitari delle comunità locali, sono beni dello Stato Comunità piuttosto che dello Stato Persona. Un complesso patrimonio collettivo, frutto di vicende secolari, di generazioni di italiani, espressione di creazioni artistiche uniche, di siti ambientali di eccezionale valore è affidato all'arbitrio di una sola persona. Torniamo indietro di secoli, ad una concezione imperiale dei beni collettivi, posti appunto al servizio esclusivo dell'Imperatore. Lo Stato moderno nasce in contrapposizione al dominio assoluto dell'imperatore, all'affermarsi dell'idea di un demanio posto a presidio delle comunità locali.Una corretta valorizzazione del patrimonio dello Stato passa non attraverso un centralismo senza regole, ma attraverso il rapporto forte con il sistema delle autonomie locali e funzionali (Università, Camere di Commercio, ecc.) che di questi beni costituiscono il naturale terminale. Tutto questo viene spazzato via, generando poi un intreccio perverso con l'altra società prevista "Infrastrutture S.p.A.", una sorta di nuova IRI o banca pubblica che si occuperà non solo di infrastrutture ma in genere di sviluppo economico. Si genera un mix pubblico/privato che invece di aprire la strada ad una collaborazione nella chiarezza dei ruoli, delle assunzioni di responsabilità e di rischio realizza una commistione equivoca, in cui il pubblico si adopera per rendere opaco il mercato, per intervenire con criteri del tutto discrezionali per distorcere la libera concorrenza. Viene enormemente accresciuta l'intermediazione politica dell'attività economica con tutto quello che può derivare sotto il profilo di distorsioni clientelari e di rapporti criminosi tra attività economica ed attività politica. Il mercato sparisce, e si afferma un nuovo statalismo, senza regole e garanzie, senza tutela dei rilevanti interessi che si legano ai beni pubblici, che non sono solo uffici e caserme, ma anche beni simbolo delle comunità locali, patrimoni ambientali unici che si aprono ad ogni forma speculativa. Cosa ha a che fare questo con gli interessi collettivi, con un programma elettorale che prevedeva meno stato e più mercato? Nulla, ed è proprio questa differenza tra le promesse e la realtà che si sta manifestando in molti modi che incomincia ad essere avvertita dall'opinione pubblica. Una parte delle ragioni della sconfitta della Casa delle Libertà alle elezioni di domenica scorsa sta proprio in questo ed è qui che l'Ulivo deve essere capace di inserirsi. http://www.paologiaretta.it/giaretta/articoli/02-06-13.htm
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