Attenti, An mette a rischio i musei pubblici D. Lu. Il Manifesto 18/12/2002
A provarci, non si fa peccato. Questa volta la firma è di un senatore di Alleanza nazionale, Lamberto Grillotti, a riprova che l'ingordigia da privatizzazione non è bagaglio genetico del solo partito di Arcore. Le otto righe nascoste nel maxiemendamento alla finanziaria, scovate dal verde Sauro Turroni, consentirebbero ai privati di concorrere per la gestione, totale e completa, dei musei italiani, grandi e piccoli. Come? Rimuovendo due brevi passaggi del regolamento del ministero dei beni e delle attività culturali approvato nel 2000. La modifica sarebbe una vera rivoluzione. Se finora i privati hanno ottenuto soltanto la gestione dei servizi all'interno dei musei (caffetteria, bookshop, visite guidate), con il blitz Grillotti potrebbero avere molto più spazio. Spiega Massimiliano Santi, responsabile nazionale cultura di Rifondazione comunista: «E' una strategia di continuità con il resto dell'operato del governo, compresa la creazione di Patrimonio SpA. Ci provarono già con la finanziaria precedente, e furono bloccati. Ci riprovano».
Gli effetti della micronorma? Una volta saltati i confini di un intervento che riguardi soltanto il «miglioramento della fruizione pubblica e della valorizzazione», la società o l'azienda che ottenessero il museo in concessione, ovviamente in cambio di un canone d'affitto, potrebbero essere libere di prendere decisioni autonome persino a proposito del restauro (fatti salvi i vincoli di legge).
La modifica ha fatto arricciare il naso a tutte le associazioni culturali. Il Fai, Italia Nostra e il Wwf hanno ieri chiesto l'intervento del ministro Giuliano Urbani. In un comunicato congiunto dopo un incontro con il direttore generale del ministero, Roberto Cecchi, si dice che «non si tratta di una questione nominalistica ma sostanziale».
Fra l'altro, la proposta Grillotti interviene anche sui delicati assetti istituzionali, disturbando le varie competenze: la valorizzazione dei beni culturali, ad esempio, è stata da tempo decentrata anche verso le regioni e gli enti locali. Protestano le associazioni: «Non riteniamo che aprire ai privati con un semplcice emendamento alla finanziaria sia sufficiente per temi che meritano un co nfronto molto più ampio e approfondito sul destino di beni che costituiscono il patrimonio comune dell'intera collettività nazionale. Per correggere un errore tutto interno alle competenze pubbliche si rischia di aprire un varco incontrollato» sul concetto costituzionale di tutela del paesaggio e del patrimonio artistico della nazione.
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