Le mani sulla città (antica) Stefano Caselli Il Manifesto 28/12/2002
Grazie all'iniziativa del governo, in vendita ai privati un pezzo dello storico rione Monti, nel centro di Roma.
Della Roma che fu non leggi solo sui libri di storia o sulle edizioni extralusso dei libri fotografici. Basta camminare con il naso all'insù. Talvolta si può anche abbassare lo sguardo, scorgere volti e voci che rimandano ad un filo di secoli rinnovato e non interrotto di tante piccole comunità che ancora vivono con il marchio della propria pelle sui mattoni delle case. Capita al rione Monti, ventimila abitanti sulle spalle del Colosseo e dei fori imperiali. Molti commercianti, piccole botteghe di artisti e artigiani, gente che - forse - non ha mai affidato i propri locali a uno stilista d'interni e non nasconde il retrobottega. Non si sentono obbligati a sorridere se entri in negozio, ma conversano volentieri.
Capita al rione Monti, dove la «città globale» fatta di servizi e vetrine luccicanti sgomita per entrare. A due passi da piazza santa Maria dei monti, tra palazzi sette-ottocenteschi cresciuti come rampicanti sulle piante di troppi piani regolatori, c'è un edificio che nasconde la propria grandezza dietro un'anonima porta lamierata. Da un piccolo foro si scorge un porticato, un ampio e desolato cortile che ricorda un set di Sergio Leone. E' l'ex istituto «Angelo Mai», antica scuola elementare e media del rione, gestita per più di un secolo - lascito napoleonico dell'ottocento - dai padri lasalliani.
A pochi passi c'è una lapide incrostata con circa 150 nomi di «prodi montiani» caduti nella prima guerra mondiale. Molti di loro - probabilmente - prima di partire per l'Isonzo, il Carso, le Dolomiti e gli altipiani e non fare più ritorno, avranno varcato il portone dell'«Angelo Mai» e come loro generazioni di abitanti del rione.
Complice la crisi delle nascite - e dopo una breve parentesi in cui fu utilizzato come centro d'accoglienza per immigrati - la scuola ha chiuso i battenti verso la fine degli anni ottanta; i padri lasalliani se ne sono andati e hanno restituito le mura al demanio.
Il barile della Patrimonio spa
Tanti beni di proprietà del demanio sono finiti nel grosso barile della Patrimonio spa e una delle mestolate che ne raschiano il fondo ha catturato anche l'«Angelo Mai». Un accordo tra il comune di Roma (tramite l'assessore al patrimonio e alle politiche abitative Claudio Minelli) e il ministero dell'Economia ne ha concordato la vendita a privati.
Le voci che si rincorrono sulla destinazione futura dell'edificio fanno sussultare i montiani. Si parla con insistenza di centri commerciali, residenze di lusso e ameni ristoranti panoramici.
Gli abitanti, coordinati nella protesta dalla rete sociale Monti (una specie di social forum di quartiere) si oppongono con decisione a un progetto che rappresenterebbe un vero e proprio sfregio al tessuto sociale, un corpo estraneo, un'invadente astronave venuta dalla «città globale» che la gente del rione vuole tenere fuori dalle mura. L'ex scuola, infatti, non ha un valore solo affettivo e simbolico: il complesso copre un isolato quasi per intero, dispone di grandi spazi aperti, un porticato e un giardino di notevoli dimensioni (il solo spazio verde nella zona). C'è addirittura una cappella affrescata in cui - si dice - sono ancora conservate le reliquie di un santo. Il tutto su una superficie di 13.000 metri quadrati.
Vincolo pubblico?
La Rete sociale monti chiede che un edificio così importante sia vincolato a una destinazione pubblica, che i suoi locali siano messi a disposizione delle vicine facoltà di ingegneria e architettura (che stanno un po' allo stretto) e - soprattutto - della scuola elementare «Viscontino», appena sfrattata dalla sede di via quattro novembre e destinata a traslocare nella lontana via Giulia. Esiste anche un progetto della rete riguardo a un museo dell'artigianato tradizionale locale.
Il problema, da una parte, è molto semplice, dall'altra riflette una questione di cultura politica un po' più complessa. L'ostacolo principale alle richieste degli abitanti del rione è la percentuale a cui il comune dovrebbe rinunciare in caso di mancata vendita ai privati. Tuttavia, trattandosi di «valorizzazione degli immobili di proprietà dello stato», un'amministrazione di sinistra dovrebbe saper immaginare un valore monetizzabile non solo in denaro, ma anche in qualità della vita. E' una questione decisiva che eviterebbe agli amministratori politici un'irreversibile metamorfosi in amministratori delegati.
L'assessore Minelli, in una lettera prenatalizia spedita alla rete sociale Monti, assicura che ancora nulla è deciso e che l'ipotesi di centro commerciale è da escludere.
La situazione, insomma, è ancora fluida, ma dell'«Angelo Mai», negli ultimi giorni, si sono occupate tutte le cronache cittadine dei quotidiani, tutte tranne una, quella del romanissimo il Messaggero, giornale legato a un noto costruttore.
Pure congetture - forse - ma per Riccardo Troisi della rete sociale Monti, il dubbio che sulla testa del rione si sia deciso qualcosa di grosso sulla quale non si può più intervenire s'insinua.
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