La vita dimenticata dei musei civici D. L. Il Manifesto 28/12/2002
La «Nascita di Venere» di Botticelli e «L'Annunciazione» di Leonardo hanno rischiato di restare al buio per morosità della Galleria degli Uffizi nei confronti dell'Enel. Così ironizzava, ma non troppo, un recente numero dell'Economist, riassumendo in pura short story il dramma dei beni culturali italiani, sottoposti alla cura dimagrante imposta dalla nuova politica berlusconiana in tema. In realtà, i capolavori custoditi nella pinacoteca più celebre del mondo non corrono al momento grandi rischi, tantomeno quelli dovuti alla mancanza di pubblicità. Che cosa succede, viceversa, in periferia nei piccoli musei civici dove la luce dei riflettori mediatici è quasi sempre spenta? In un clima di effervescente corsa alla privatizzazione, si arriva al museo civico archeologico «Oreste Nardini» di Velletri con l'idea, inculcata dalle chiacchiere da caffé, che il periodo pubblico della collezione sia alla fine dei suoi giorni. La smentita, decisa e garbatissima, viene dalla direttrice, Anna Germano: «La notizia non potrebbe essere più falsa perché il museo sta camminando sulle sue gambe, che sono pubbliche, con l'accordo degli amministratori locali, sindaco in testa».
Neanche si fosse «grand tourist» originali, il giro parte dall'ultimo dei castelli romani, quello più lontano dalla capitale e allungato verso il sole dell'agro pontino. I Borgia vi allestirono, con pezzi provenienti da tutto il mondo, una casa museo il cui nucleo più antico fu poi venduto ai Borboni (e ora impreziosice il museo archeologico di Napoli). Dunque, l'idea di Tremonti non è nemmeno nuova. Anzi. Un'altra parte del patrimonio locale è finita al Louvre, nelle vesti di una Pallade scoperta in zona proprio durante il passaggio dei soldati napoleonici.
Fortunatamente, l'ultimo ritrovamento, un bellissimo sarcofago di marmo pario risalente al II secolo, raffigurante le fatiche di Ercole, è scampato a vendite e razzie di guerra. E' lì, esposto sotto una serie di faretti la cui disposizione la direttrice non può criticare, poiché infinite sono le clausole a protezione degli allestitori privati che hanno riorganizzato gli spazi (anche questa è una riflessione per gli assatanati del privato è meglio: non era il pubblico, ad essere troppo rigido?). Il rapporto con la città è buono, dice Germano: «I fruitori per eccellenza dei nostri tempi sono le scuole. Metteremo in gara un progetto didattico indirizzato alle elementari. Le associazioni concorrenti dovranno assicurarci le visite didattiche a un prezzo piuttosto contenuto. Noi prevediamo dieci cicli, per altrettante classi, di tre lezioni archeologiche ciascuno più una simulazione di scavo». Per tappare la bocca alle malelingue, si garantisce che il museo veliterno è aperto tutti i giorni, ecluso il lunedì, e che il biglietto è alla portata di tutte le tasche.
Spostandosi a ritroso, verso Roma, e abbandonata l'Appia, ci si imbatte in Lanuvio. Che abbia dato i natali a Commodo è notizia che non interessa più neanche Ridley Scott. Che i lanuvini, sconfitti insieme agli altri componenti della Lega Latina, abbiano scansato il tipico destino riservato ai perdenti ottenendo persino la cittadinanza romana grazie alla presenza nel loro territorio del santuario di Giunone Sospita, è un dettaglio per addetti ai lavori. Che viceversa l'anno scorso si sia trovata una villa di epoca imperiale la quale, per mancanza di fondi, è stata rissotterrata, essendo la terra l'unico sistema di protezione gratuito, è notizia che dovrebbe fare indignare tutti coloro che talvolta si dilettano a spulciare le voci di spesa dello stato, della regione Lazio e della provincia di Roma: non si potrebbe rinunciare a qualche disertato convegno e dirottare su queste voci bilanci un po' più consistenti? Anche Lanuvio vanta un museo civico. Spiega il direttore, Luca Attenni: «Abbiamo appena ripristinato i vecchi locali esistenti dal 1913 e distrutti durante la seconda guerra mondiale. Lavoriamo molto con le scuole e, per la festa del vino novello, abbiamo organizzato un laboratorio di ceramica archeologica. Nell'immediato futuro, abbiamo in progetto di risistemare l'area del Ponte di Loreto, sulla vecchia Via Antiatina, dove si è appena espopriato un terreno».
Su Albano, è inutile sprecare parole. Pino Chiarucci ricorda con un certo orgoglio: «Il nostro, è stato il primo museo ad aprire con i poteri delegati alle regioni nel 1975 e da allora ci siamo mossi avendo due punti cardine: la ricerca e la didattica». Ad Albano, dove la seconda legione partica severiana si accampò per restarvi, dopo i rigori della Siria, godendo della fresca aria di collina, si fa dell'archeologia sperimentale: «Lavoriamo con l'università di Nimes sulla gladiatura e sulla cavalleria con i belgi. Dai resti dell'accampamento di Albano abbiamo ad esempio scoperto che gli ordini, al vertice della legione, venivano dati con una sorta di sistema binario». Il museo civico vive di donazioni e di consegne (e va qui ricordato che ogni cosa scoperta nel sottosuolo appartiene per legge allo stato). E' certo il servizio più amato dalla cittadinanza, anche se frequentato molto meno delle sale di videogiochi: «Ma abbiamo fornito tante occasioni di lavoro a ragazze e ragazzi che hanno frequentato i nostri corsi di mosaico antico o di restauro. Molti di loro si sono costituiti in cooperativa, uno fa il restauratore in Vaticano».
Tre luoghi, tre storie, una sola morale. E' molto probabile che un turista-culturale, informato di questi percorsi, sceglierebbe Albano, Lanuvio o Velletri per un pomeriggio archeologico fuori del solito tour. Se non lo fa, è soprattutto perché non lo sa. Se il ministro Urbani ha veramente a cuore il patrimonio italiano, cominci con il renderlo visibile, magari con campagne promozionali mirate. |