I talebani di Roma, minaccia per il patrimonio artistico Massimiliano Tarantino Il Piccolo, giornale di Trieste, 31/12/2002
Come si possono raccogliere svariati miliardi di euro per ripianare il debito pubblico, varare le riforme economiche ed investire sulla nuova occupazione senza affidarsi a stangate impopolari? Semplice, basta creare una società per azioni dove far confluire tutto il patrimonio storico artistico dello Stato italiano ed organizzarne la vendita. Peccato che la «manovra», attuata dal Ministro per l'Economia Giulio Tremonti con l'avallo del Ministro per i beni culturali Giuliano Urbani tra l'aprile ed il giugno di quest'anno, sia stata scoperta e denunciata da uno dei maggiori storici dell'arte d'Italia, il professor Salvatore Settis, dal 1994 al 1999 Direttore del Getty Institute di Los Angeles ed oggi Direttore della Scuola Normale Superiore di Pisa. Con il suo libro, «Italia S.p.a. L'assalto al patrimonio culturale», Einaudi 2002, il professor Settis guida una crociata contro la società Patrimonio S.p.a, che vede al suo fianco un mondo variegato composto da associazioni ambientaliste (Legambiente), uomini di cultura (Cesare Romiti) e comunità internazionale (i direttori dei più importanti musei americani). Il primo capitolo del suo libro s'intitola «Talebani a Roma», siamo veramente governati da talebani? Mi sono appropriato di questa locuzione, fatta in origine dalla presidente del Fai, la contessa Giulia Maria Crespi, e ripresa dal quotidiano tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung, perché, condividendone la natura paradossale, mi sembrava potesse ben rappresentare la situazione che oggi stiamo vivendo nel campo della conservazione dei beni culturali, una situazione ai limiti dell'illegalità. In breve tempo, e senza curarsi dei vincoli posti dalla Costituzione e dal codice civile, si è data un'incredibile accelerazione al processo di privatizzazione del nostro patrimonio artistico, si sono poste le basi legislative per una possibile vendita di massa di ciò che rappresenta la storia e la cultura del nostro paese. La legge del contendere è la n.112 del giugno 2002, cosa prevede? La possibilità di cedere la totalità del patrimonio dello Stato a due società per azioni create per l'occasione, la Patrimonio dello Stato S.p.a. e la Infrastrutture S.p.a. Il patrimonio cedibile include tutti i parchi nazionali, tutte le nostre coste, tutti gli edifici storici di proprietà statale, tutti i monumenti, musei, archivi, biblioteche, tutte le proprietà demaniali, per un valore complessivo, secondo una dichiarazione del ministro Tremonti, di 2000 miliardi di euro. Se fosse un gioco di scatole cinesi per fini fiscali o per agevolare l'ingresso dei privati nel business museale, sarebbe solo un peggioramento di quanto prodotto dai precedenti governi. Ma non è così. L'art. 7 dice espressamente che la Patrimonio S.p.a. è istituita per la «valorizzazione, gestione e alienazione del patrimonio dello Stato». Non si era mai arrivati a tanto. I ministri si difendono giurando che non hanno la minima intenzione di vendere. E lei stesso traccia una linea comune tra le mosse del Centrodestra e quelle dei ministri di Centrosinistra Veltroni e Melandri. Negli ultimi anni si è verificato un profondo mutamento di cultura istituzionale e civile che ha coinvolto ministri di «destra» e di «sinistra» e, in particolare, gli ultimi tre (Veltroni, Melandri, Urbani). Il discorso è andato radicalizzandosi e Urbani si è spinto, insieme a Tremonti, molto più in là di quanto avessero fatto i suoi predecessori, ma certo questi ultimi hanno spianato la strada. Può essere benissimo che gli attuali ministri non intendano vendere «niente di importante». Ma il punto è che la nuova legge lo consente, e perciò va cambiata, per evitare che accada fra due, cinque, dieci anni. Dare spazio ai privati equivale spesso a prendere come modello il sistema americano. Nel suo libro lei mette in evidenza le differenze parlando di colossale fraintendimento. Il paragone con gli Usa viene fatto a sproposito, parlando di musei, e suggerendo che, dato che i musei americani sono privati ed efficienti, i nostri, per essere efficienti dovrebbero esser privatizzati. Grande stupidaggine: i Musei americani sono in grande maggioranza privati ma in quanto fondati da privati con enormi capitali, che continuano a fruttificare. Non c'è negli Usa un solo museo che sia in attivo: tutti sono ampiamente con i conti in rosso, ripianati poi dagli interessi del capitale investito. In Italia, invece, chi parla di dare ai privati la gestione dei musei immagina, suppongo per ignoranza e non per disonestà, che i privati possano guadagnarci. È possibile coinvolgere i capitali privati? Gli operatori privati devono essere chiamati a collaborare alla gestione del nostro patrimonio culturale ma questo non deve essere fatto smantellando la pubblica amministrazione. Ben vengano i capitali privati per migliorare e ampliare le strutture esistenti, per sovvenzionare progetti di restauro o altro, ma si prenda esempio, e questa volta in maniera fedele ed informata, dal sistema americano. Si decida di defiscalizzare gli investimenti privati e di accettare l'aiuto dei mecenati senza che questi abbiano un ruolo nella gestione, o ancora peggio nella proprietà, di quanto sovvenzionato. Lo Stato avrebbe a disposizione capitali da investire e i privati sarebbero invogliati a donare per il loro guadagno fiscale. Un circolo virtuoso che chiediamo da troppi anni e che sarebbe ora di innescare finalmente.
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