I Sassi di Matera, la bellezza in cantiere M. Mau. Il Sole 24 ore 21/02/2004
MATERA - I turisti giapponesi con il solito ombrellino a proteggerli da un sole che annuncia primavera sembrano tanti manichini. Statue umane tra statue di pietra. Il Sasso Caveoso e il bianco della pietra che muore sui canyon dell'altopiano della Murgia li ipnotizzano. Così da anni. Ogni mattina c'è sempre un pullman di giapponesi. E poi i francesi, gli svizzeri, gli americani. Scendono dai pullman, sciamano per l'intera mattinata, su è giù per il Sasso Caveoso e il Sasso Barisano. E poi via, di nuovo in pullman verso Alberobello, in Puglia, dove riposano e si rifocillano prima di partire per una nuova escursione. «A Matera si fermano solo poche ore», si lamenta un'albergatrice trentina con un hotel affacciato sui Sassi che farebbe carte false per tornarsene a San Martino di Castrozza. Matera e i suoi Sassi, un groviglio di muri, tetti, scale, facciate, chiese e caverne dove si rifugiarono i monaci nell'VIII secolo. Palazzotti signorili del 700, cattedrali barocche e chiese rupestri che precipitano verso il centro della cavea. Costruzioni in muratura e grotte scavate nel tufo, case il cui tetto è la base dell'altra casa e viceversa. Il caos apparente si scioglie in un'architettura spontanea che ha meravigliato mezzo mondo: costruzioni in muratura e grotte scavate nel tufo, case il cui tetto è la base dell'altra casa e viceversa. L'Unesco, nel '93, li innalza al rango di patrimonio dell'umanità, inserendoli nella World heritage list. Ma molto prima che gli stranieri li scoprissero furono gli italiani a farne uno dei simboli del Mezzogiorno. Simbolo della miseria contadina per lo scrittore Carlo Levi, di una "vergogna nazionale" per il politico Palmiro Togliatti, di un "trogloditismo di ritorno" per gli antropologi. Un dibattito che richiamò a Matera intellettuali, giornalisti e fotografi attratti dalla voglia di guardare negli occhi un uomo delle caverne nel bel mezzo del XX secolo. Adriano Olivetti, allora presidente dell'Istituto nazionale di urbanistica e responsabile del programma Fullbright in Italia, chiamò un sociologo dell'Università dell'Arkansas incaricato di studiare la situazione sociale, etica ed economica di una comunità chiusa del Sud. La legge De Gasperi del '53 svuotò i Sassi di 16mila abitanti e li trasferì nei nuovi quartieri di La Martella, Venusio, Lanera, Serra Venerdì, Spine Bianche, esercizio architettonico di grandi firme dell'urbanistica, da Luigi Piccinato a Carlo Aymonino e Giancarlo De Carlo. Poi i riflettori si spensero. La coscienza nazionale fu placata, non c'erano più uomini che vivevano accanto agli asini. Tocca all'Unesco riaccenderli e tocca al Comune di Matera, in base alla legge 771 dell'86, recuperare i Sassi per farne un luogo di accoglienza, di incontro, di socialità. Un processo lento, pieno di contraddizioni, contrassegnato da una serie infinita di incertezze. Pure Renzo Piano fu chiamato al cospetto dei Sassi. L'architetto genovese disegnò un ascensore a vista che dalla sommità del centro storico di Matera scendeva nelle viscere del Sasso Caveoso. Uno strumento di mobilità in un luogo tutto scale e saliscendi che avrebbe facilitato l'accesso anche ai disabili, un innesto di modernità nel tempio di un'architettura primitiva. Nessuno, raccontano i materani, si prese la briga di comunicare all'architetto Piano che quel progetto avrebbe contribuito ad affollare gli armadi dell'Ufficio Sassi, il dipartimento del Comune di Matera cui spetta per legge il compito di seguire ogni intervento nella parte antica della città. Gli amministratori locali si sprecano in grandi slogan, ma difettano in azioni concrete. Nel dubbio, preferiscono non decidere, consci che una scelta errata potrebbe avere conseguenze di cui parlerebbero tutti i giornali del mondo. Dice Franco Palumbo, da quasi 40 anni presidente del Circolo La Scaletta, la prima e ultima associazione cittadina che non ha mai smesso di promuovere i Sassi in Italia e all'estero. «La città ha fatto pochissimo in questi anni, eppure tutto il mondo continua a gratificarci. Questo è il paradosso». Troppe gratificazioni e nessuna frustrazione? Basta girare per i Sassi e raccogliere, una serie di giudizi lapidali sulla gestione comunale. I commercianti raccontano che sette società su nove che ricevettero licenze commerciali concesse dal Comune nel '92 non hanno mai aperto i battenti. «E la delibera non prevedeva il ritiro della licenza per inadempienza o mancato avviò dell'attività: così ci troviamo nella triste situazione che chi vuole lavorare non lo può fare e chi ha tutte le carte in regola per farlo non ne ha nessuna voglia», dice un commerciante che vuole rimanere anonimo. Dorothy Zinn, un'antropologo texana che con il marito materano ha ristrutturato 21 camere su quattro livelli, un balcone naturale sul sasso Barisano, si è formata un'opinione precisa: «I materani hanno un Rapporto ambivalente con i Sassi». Tanto ambivalente che alla locanda San Martino, così si chiama l'albergo, la stragrande maggioranza dei clienti non sono né giapponesi né americani, ma manager del Nord che arrivano a Matera per visite d'affari in una delle tante aziende del distretto del divano, un'industria che malgrado la crisi degli ultimi anni continua a essere il motore economico della provincia. Tanto ambivalente che nessuno ha tentato di creare una cooperativa che gestisca e intercetti un flusso turistico sul quale non esistono numeri precisi. Daniele Cappello, da luglio a dicembre 2003 assessore al turismo del Comune di Matera con un budget di spesa di appena. 1.720 euro, allarga le braccia: «I dati degli arrivi significano poco se quasi nessuno si trattiene per il pernottamento». La vox populi indica negli architetti il "partito" cittadino che dai Sassi ricava parcelle sostanziose e soddisfazione professionale. Antonella Guida, architetto e docente di Architettura tecnica all'Università della Basilicata, non è per niente tenera: «I cento alloggi ristrutturati per le giovani coppie sono rimasti deserti. Nei Sassi non c'è neppure una salumeria, per non parlare di un supermarket. Difficile reggere una situazione simile se si hanno pure dei figli». I materani se ne stanno alla larga, ma i non lucani farebbero carte false per comprare un alloggio in una caverna. Una ventina di bed&breakfast e 2 soli alberghi (ma altri quattro sono in costruzione) sono ancora ben poca cosa. L'architetto Guida non è per nulla ottimista: «Regione, Sovrintendenza e ateneo non dialogano. L'ufficio Sassi ha cambiato tre responsabili in tre anni e chi compra casa pretende tutti i comfort di un appartamento in città. Un cliente mi ha detto: "Perché non demoliamo la volta e ci costruiamo un altro piano?" Io lo dico con grande tristezza: in pochi anni rischiarne di distruggere quello che decine di generazioni di materani hanno costruito e custodito per secoli».
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