Fori Imperiali. Roma città aperta Duccio Trombadori il Giornale, 26 luglio 2004
Come sarà o come dovrebbe essere trasformata l'area classica di Roma che con i Fori le Terme le Basiliche e le magnifiche ville imperiali distingue per eccellenza l'immagine della capitale d'Italia da tutte le altre città del mondo? Chiamato a rispondere alla impegnativa domanda il noto architetto Massimiliano Fuksas ha impiegato tutte le sue capacità di scenografo e illusionista per riassumere in un progetto ideale le iniziative già prese in questi ultimi venti anni perché lo straordinario parco archeologico venga valorizzato e difeso non solo come documento storico ma addirittura come cuore urbanistico pulsante della metropoli futura. Ne è venuta fuori una mostra («Forma. La città moderna e il suo passato», curata oltre che da Fuksas dal sovrintendente ai Beni archeologici Adriano La Regina e dall'architetto Doriana Mandrelli) allestita fino al 5 gennaio 2005 al secondo piano del Colosseo. Qui il pubblico potrà ammirare tra una arcata e l'altra alcuni preziosi e pressoché inediti ritratti in marmo d'epoca romana (Livia, Crisippo, Dioniso, Artemide, Medusa) nonché un plastico allusivo alla risistemazione del percorso che attualmente unisce. Piazza Venezia al Colosseo tramite la Via dei Fori Imperiali, realizzata in epoca fascista per restituire una immagine monumentale della «romanità». Allestitore d'eccezione, Fuksas è ricorso a tutte le sue migliori virtù per configurare il sistema delle rovine romane -tra la Basilica di Massenzio e il Foro Traiano, per intenderci - sormontandole con una strada-piattaforma (nel piastico è una fibra di carbonio trasparente, nella realtà sarà cemento armato o giù di lì) cui si aggancia con passerelle un reticolo di servizi tipici della nostra età guardona e consumista: caffè, mediateca, libreria, ristoranti «multietnici» (?) e chi più ne ha più ne metta. Un simile addobbo metropolitano è bene illustrato nella esposizione con un nastro elicoidale e videoproiettori hi-tech che fanno scorrere le immagini dell'area dei Fori con le trasformazioni avvenute nel tempo fino ai giorni nostri. Tanto per fare un esempio, si potrà cosi misurare la distanza che separa i sogni umanistici di Papa Paolo III Farnese (per primo nel '500 iniziò lo scavo dei monumenti) da quelli franco-imperiali di Napoleone, e quelli nazional-fascisti di Benito Mussolini da quelli «socialmente utili» della nostra modernità di cui Fuksas e Mandrelli si dichiarano felicemente interpreti incappando nella solita retorica consumista-sessantottina della «riappropriazione del bene» senza fare sul serio i conti col problema drammatico della sua tutela e conservazione. Si sa purtroppo che i Fori con i loro monumenti (ma non solo quelli: basti pensare alla tragedia della Colonna Traiana vieppiù divorata dall'inquinamento) sono inevitabilmente esposti alla usura dei gas urbani nonché ai vandalismi conseguenti all'incuria, come ci ricorda anche l'ennesima vicenda di una statua del Pincio recentemente aggredita a colpi di martello. Lo stesso sovrintendente La Regina, nel catalogo della esposizione, ricorda preoccupato come la legge per la protezione delle antichità romane approvata nel lontano 1981 non sia mai stata rispettata nel principio basilare e imprescindibile della «conservazione concepita come manutenzione ordinaria e continua» (cioè con custodi, restauratori e guardiani in servizio permanente effettivo). Il che la dice lunga sul garbuglio tuttora esistente tra mancanza di fondi, cattiva gestione amministrativa e sindacale e demagogia a buon mercato sulla ultra-strombazzata «riconquista dell'area da parte dei cittadini». Malgrado ciò gli organizzatori della mostra insistono sulla necessaria priorità di «tornare ad usare la città antica come parte integrante e nobile di quella moderna» e ritengono che solo restituendo i Fori «all'uso contemporaneo» se ne potrà assicurare la «valorizzazione». Il che è tutto da dimostrare se alla totale «apertura» suggerita non corrisponderà un rigoroso controllo del patrimonio (si venderanno magari moltissimi biglietti d'ingresso ma solo fino a quando il «bene» non sarà definitivamente consunto!). La contraddizione fra una gestione «sociale» delle antichità classiche e l'impellente necessità di proteggerle dall'usura e dallo scempio è cosa fin troppo nota per essere approfondita (basti pensare a cosa sono diventate nel tempo gemme preziose come Villa Borghese o Villa Doria Pamphili}. Il fatto che un argomento così centrale come quello della manutenzione sia rimasto distante anni luce dalla scenografia allestita dai curatori della mostra del Colosseo si spiega in buona parte con la retorica democraticista del consumo «popolare» come pietra angolare di ogni buon intervento sui beni culturali, nonché con la persistente ideologia «anticlassica» secondo la quale i monumenti antichi non debbono essere ammirati nel loro «isolamento» ma entrare a far parte in un certo senso della nostra vita quotidiana. Questo più o meno il sogno progettato da Massimiliano Fuksas che egli stesso chiama «Utopia», cioè idea fuori dello spazio e del tempo, forse rendendosi conto non solo della sua incongruità ma soprattutto del suo carattere anacronistico. Solo prima della rivoluzione industriale, infatti, la crescita della città poté mirabilmente avvenire in simbiosi naturale con i grandi edifici della antichità classica senza pregiudicarne la conservazione e anzi quasi preservandoli per le generazioni a venire. Nella Roma umbertina di fine Ottocento - una città rimasta come per incanto a misura di medioevo - era ancora possibile vedere le barche sul fiume ancorate al vecchio Porto romano di Ripetta o pure assistere ad uno spettacolo di varietà in un teatro (si chiamava Corea e ci lavorò ancora perfino Totò nel pieno degli anni Venti) costruito sul tronco del Mausoleo di Augusto. Desiderare «ritorni» di questo tipo nella temperie post-indutriale e ultra-consumista di questo inizio di Terzo Millennio è naturalmente sempre plausibile. Pretendere però di dimostrare che una simile idea addirittura protegga e valorizzi le più famose vesti-gia del nostro passato non è soltanto impossibile. È anche inutile.
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