Attualità: Per i beni culturali Sgarbi e Urbani separati in casa Le associazioni ambientaliste: Ciampi non firmi il decreto taglia-deficit
Si è risolta in una quasi separazione la difficile convivenza tra il sottosegretario Vittorio Sgarbi e il ministro per i Beni culturali Giuliano Urbani, dopo un anno di dichiarazioni sopra le righe, dispetti, ripicche, smentite. Vittorio Sgarbi non lascia il suo posto da sottosegretario ma ha rimesso le deleghe che gli erano state assegnate dal ministro Urbani il 7 ottobre scorso, ovvero le competenze (seppure senza potere di firma) sul patrimonio paesaggistico, sulla Biennale di Venezia, sulla Triennale di Milano, sulla Quadriennale d'arte di Roma, sull'Istituto centrale per il restauro, sull'Istituto centrale per il catalogo e la documentazione e la presidenza del Consiglio per i Beni culturali e ambientali. E' veramente prossima la fine di una coabitazione complicata fin dall'inizio della attuale legislatura? Forse no. Ma i presupposti per il divorzio ci sono tutti. Il casus belli è il decreto legge Tremonti 63/2002 per "disposizioni finanziarie e fiscali urgenti in materia di riscossione, razionalizzazione del sistema di formazione del costo dei prodotti farmaceutici, adempimenti ed adeguamenti comunitari, cartolarizzazioni, valorizzazione del patrimonio e finanziamento delle infrastrutture" (il testo integrale è pubblicato sotto la voce "Normativa", "decreti legge" sul sito www.beniculturali.it), che dovrebbe essere convertito in legge dal Senato entro il 15 giugno. L'articolo 7 del decreto istituisce la "Patrimonio dello Stato s.p.a", una società di diritto privato che avrebbe il compito di garantire una migliore gestione del patrimonio dello Stato. Le azioni spettano al Ministero dell'economia e delle finanze, che ha la facoltà di trasferirle gratuitamente ad altre società di cui detiene interamente il capitale sociale, come per esempio la "Infrastrutture s.p.a", una società finanziaria per azioni (istituita dall'articolo 8 dello stesso decreto) che ha il compito di trovare fondi per le grandi opere pubbliche e che quindi può disporre - a tale scopo - del patrimonio in dotazione. Tra cui - con l'accordo del Ministero per i beni culturali (ma non verrebbero interpellati né il ministero dell'Ambiente né gli enti locali) - anche dei beni artistici. Il testo, presentato l'11 giugno, ha suscitato perplessità e sconcerto da parte degli esponenti di associazioni come Italia Nostra o il Fai, che hanno visto in concreto pericolo l'integrità del patrimonio artistico e paesaggistico italiano. Certo nessuno oserebbe mai vendere il Colosseo o gli Uffizi, ma le ville, i quadri, i parchi, le collezioni di provincia, il patrimonio non redditizio - per usare un termine ormai consueto per beni che dovrebbero essere da tutelare comunque perché pubblici, senza necessariamente supporre una redditività -? Del resto, come ha ammesso lo stesso ministro Urbani, che pure ha tentato di rassicurare tutti sull'evenienza di vendite di gioielli artistici, un elenco dei beni alienabili è in via di compilazione. Bene, martedì in Senato Sgarbi ha presentato un emendamento al decreto che specifica cosa non si potrà mai vendere, ovvero tutti i beni di valore artistico, storico, paesaggistico; per le aree protette ci sarà bisogno dell'approvazione del ministero per l'Ambiente. L'emendamento non è stato accolto in quanto tale, ma è stato trasformato in un ordine del giorno dalla maggioranza. Sgarbi ha ricevuto il plauso della sinistra e le critiche di Urbani e Tremonti, e ieri pomeriggio ha reso nota la breve lettera con cui rimette a Urbani le deleghe ricevute, "non potendo condividere i metodi e il destino" del ministero. Ma di certo non passa all'opposizione, rimane al suo posto di sottosegretario "a presidiare". Urbani prospetta per lui un nuovo incarico da parte del ministero, ma all'estero. Sgarbi propende per la direzione della Biennale (se Bernabè dovesse andare alla Fiat) o di RaiSat Art. E apetta le dimissioni di Urbani. http://www.artonline.it/news.asp?IDNews=871
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