Pianosa, l'isola che va in pezzi: accanto all'ex carcere c'è un nuovo depuratore, ma non funziona IL SECOLO XIX 05/09/2010
È semiabbandonata: scuola transennata, case cadenti
roberto scarcella
LA SCUOLA ormai cade a pezzi. Nessuno però impara più nulla da anni in quelle aule. E non perché mancano gli insegnanti. Nell'isola di Pianosa, nell'arcipelago toscano, a mancare è la popolazione al completo. Fino al 1998 c'era un carcere: poi - dopo la chiusura - l'isola è diventata un'area protetta all'interno del comprensorio dell'Elba. A salvarsi, da quel giorno, sono gli animali, le piante. Non i palazzi di questo luogo storico, che ospitò dietro le sue sbarre perfino il futuro presidente della Repubblica Sandro Pertini. Era il 1932: all'epoca Pianosa era un luogo abitato. Perlopiù carcerati. Ma non solo. In quell'avamposto in mezzo al Tirreno, c'era un paesello che viveva, riempiva le case, mandava i suoi figli a scuola. In parole povere, Pianosa "esisteva". Ora è diventata l'isola che non c'è. Restituita a flora e fauna, ma semi-abbandonata dagli umani, Pianosa mostra in modo evidente i segni di un rapido decadimento. Le transenne di sicurezza sono già state piazzate lungo i muri della scuola: non ci vive nessuno, ma non si sa mai. I turisti, infatti, non mancano. Altrove, per chi dovesse visitare l'isola, il rischio di essere colpiti dal calcinacci venuti giù da un palazzo sono concreti. In questi giorni a denunciare lo stato degli immobili di Pianosa sono stati gli stessi amministratori dell'isola. Giuseppe Foresi, il referente della giunta locale, per gli affari di Pianosa non ha peli sulla lingua: «L'isola, a poco a poco, sta cadendo a pezzi. E noi non vogliamo passare per amministratori che non fanno nulla per recuperare questo enorme patrimonio». Per riuscire nel suo intento, Foresi ha già adottato una serie di provvedimenti urgenti. L'interdizione al pubblico degli edifici della vecchia scuola è solo l'inizio: si trovano in un'area lontana dal porticciolo e difficilmente un turista li visita. Il cartello di divieto di transito comunque è in bella mostra. «Fra le critiche che ci hanno rivolto c'è pure lo stato in cui versano le fogne. Hanno detto che sono pessime e fatiscenti». Sembrerebbe strano. Perché un depuratore c'è. Nuovo di zecca. È stato costruito non lontano dalla nuova caserma, pagata con soldi pubblici e mai utilizzata: 54 posti letto e molte aree destinate alla socializzazione. Un controsenso, in un luogo che ormai non conta nemmeno un abitante. Il caso vuole che il depuratore, così come la caserma, sia stato consegnato alla vigilia della chiusura del carcere. Tutto era pronto, ma ormai destinato ai fantasmi dell'isola. Quel che è rimasto è il passato: i vecchi telefoni a gettone, le celle vuote e cadenti del vecchio carcere, i muri a secco lungo le stradine bianche e polverose, il muro "Dalla Chiesa", quello che isolava i mafiosi dai detenuti comuni. E case, bellissime, ma erose dal sole e dal salmastro. E poi le zecche, che ti si attaccano ai piedi. Il resto sono parole al vento, come quelle dell'archeologo Michelangelo Zecchini. Ha provato ad illuminare Pianosa e il suo degrado, soprattutto quello attorno ai «resti della villa di Agrippa Postumo, nipote dell'imperatore Augusto». «Fra le tante, magnifiche architetture bimillenarie di cui l'Italia può essere orgogliosa - ha detto Zecchini - c'è questo piccolo gioiello di eccezionale importanza storica: i Bagni di Agrippa». Pare il suo valore sia inestimabile. Ma per ora resta lì, malinconico, fino a che le transenne non lo circonderanno.
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